Buongiorno signor Tomberli,
Ci racconti le tappe formative che l’hanno portata a diventare uno dei sommelier e responsabili di sala più bravi d’Italia.
Praticamente mi sono formato qui all’Enoteca. Dopo tre esperienze stagionali in Versilia sono entrato a 17 anni all’Enoteca Pinchiorri, naturalmente come commis. Pochi mesi dopo ero già Chef de rang, ma la voglia di poter servire i vini era una fissazione; poter maneggiare quella carta e toccare quelle bottiglie che avevo solo letto sui libri…
Devo esser grato al Sig Pinchiorri che ha visto in me tanta curiosità e voglia d’imparare. Così tutti i pomeriggi li passavo con lui in cantina a sistemare le bottiglie, con i suoi racconti su tutti i produttori, i vini, aneddoti, curiosità. Da lì ho cominciato a girare e studiare, a degustare e confrontarmi con i colleghi; cosa che faccio tuttora.
Molti giovani oggi ambiscono a diventare cuochi, mentre è più raro incontrare qualcuno che desideri scalare la gerarchia del lavoro in sala. Cosa l’ha spinta ad intraprendere questa carriera? Che tipo di soddisfazioni può dare?
Sono scelte difficili a 14 anni, chiedere a un ragazzino cosa “vuoi fare da grande?” Magari fino a 8 anni, si vuole guidare un treno, poi un aereo, poi l’astronauta o il campione di calcio.
Io ricordo che ho scelto l’alberghiero perché dava la possibilità di lavorare durante l’estate ed eventualmente (non è il mio caso) di poter andare facilmente all’estero. Una volta sull’autobus un’amica che faceva il liceo scientifico mi chiese: “Ma davvero stai studiando per diventare cameriere”? “No, studio per essere pronto a un incarico diverso, magari diventerò il direttore di un grande albergo! La soddisfazione più grande è che non ci si annoia, anche se il lavoro è lo stesso, ogni giorno si svolge in modo diverso, le persone non sono le stesse. Ci divertiamo lavorando e lavoriamo divertendoci.
Impressiona la durata del suo sodalizio con l’Enoteca Pinchiorri, più di 30 anni trascorsi in via Ghibellina: qual è il segreto di tanta costanza?
Non credo che esistano segreti né formule magiche.
Un rapporto duraturo dipende da diversi fattori e variabili:
la soddisfazione di lavorare in un ambiente piacevole tra colleghi e clienti, la possibilità di esprimersi e crescere professionalmente, e – ultimo, ma non ultimo – i rapporti di stima/fiducia/amicizia con Direzione e Proprietà.
Trova che oggi la clientela sia più preparata sul vino rispetto ad una volta? Quali sono le tendenze attuali nel consumo del vino?
Sicuramente si beve un po’ meno al ristorante, ma si beve meglio. Nel senso che la richiesta del cliente si è alzata in qualità e di conseguenza l’offerta, con liste sempre più ampie e fornite di vini al bicchiere.
Quali sono i suoi colleghi che stima di più?
Beh, io sono in buoni rapporti un po’ con tutti, faccio parte di “NOI DI SALA” e ci confrontiamo spesso sulle problematiche del lavoro in sala, dalla difficoltà di trovare il personale a come gestire i clienti; alla fine vediamo che da Courmayeur a Lampedusa le problematiche ci accomunano.
Se dovessi fare un nome su tutti direi Alessandro Pipero.
Ci sono dei cambiamenti o delle innovazioni che lei ha introdotto nel suo lavoro e di cui è particolarmente orgoglioso?
Non ho inventato nulla che non esistesse già, però negli ultimi anni mi sono dedicato soprattutto alla psicologia e al sorriso, nel senso che il cliente quando viene da noi si aspetta già il meglio, e molti di loro vivono quotidianamente lo “straordinario”; quindi noi dobbiamo dargli qualcosa in più e il segreto non è sorprenderli, ma assecondarli. Capire nel più breve tempo possibile il modo in cui il cliente vuole essere ospitato, con chi è, da dove viene e l’occasione per cui si trova da noi (ricorrenza, cena d’affari, cena tra amici o in famiglia) e cercare di approcciarli nel modo più opportuno.
Quali sono i clienti più difficili da gestire?
Oggi i clienti sono tutti più esigenti. Girano il mondo più facilmente, sono sempre più abituati ad ambienti e servizi lussuosi ovunque.
Fino a 25 anni fa la guida Michelin recensiva solo l’Europa, oggi è presente in Asia, come negli Stati Uniti, Brasile ecc. quindi le aspettative dei clienti si alzano sempre di più. Credo che il cliente più difficile sia quello che è strettamente legato alle sue abitudini e non accetta il fatto di essere in un altro paese con usi, costumi e cultura diversi.
In tutti questi anni, ci sarà stato sicuramente qualche aneddoto particolarmente divertente che ha vissuto con i suoi ospiti, ne ricorda uno in particolare?
Si, uno che mi ha sorpreso. Una sera si è presentata una famiglia ungherese che aveva prenotato un tavolo per 4 e un tavolo per 1. Pensavo che la persona da sola fosse l’autista o la guardia del corpo o un semplice accompagnatore, quindi avevo preparato il tavolo da 1 in una saletta adiacente. Contrariato il cliente mi fa spostare il tavolo del suo “accompagnatore” accanto al suo; portava con sé una valigetta piuttosto grande… Alla fine tirando fuori l’attrezzatura dalla valigia mi spiega che era il sommelier privato del facoltoso cliente…Con nostro stupore ha stappato, assaggiato e decantato il vino scelto e poi mi ha dato l’OK per servire.
Dopo che l’ho servito però, mi sono avvicinato a lui e scherzando gli ho detto “la prossima volta però, te la vai anche a prendere in cantina la bottiglia…”
Il vino e la sostenibilità, come vede l’evoluzione di questi temi nel mondo della produzione enoica?
Siamo talmente martellati dai media per tutto ciò che riguarda l’ambiente, la sostenibilità, la riduzione di emissioni, l’abolizione della plastica. ecc.
In futuro saremo tutti BIO, ma ci vorrà del tempo. Ci siamo accorti degli errori fatti in passato, ma per rimediarli ci vorrà del tempo; dobbiamo avere pazienza e lavorare insieme verso una direzione comune.
Faccio un esempio: diventare biodinamici o biologici vuol dire cambiare radicalmente filosofia e stile di vita, non basta seguire le regole di un libro. Se io preparo un concime naturale o un infuso per concimare la mia terra, ma poi utilizzo un trattore per trasportarla al podere è un controsenso.
Quali sono le sue passioni nel mondo del vino?
Andare a visitare le aziende ma soprattutto i vigneti e conoscere le persone che lavorano, nonché partecipare a varie manifestazioni e degustazioni di vino per poi confrontarmi con i colleghi
La bottiglia che più ha nel cuore? Sempre che sia solo una…
Infatti, non ce n’è una sola. Ho la fortuna di assaggiare i più grandi vini (ed anche spesso!), ma la cosa che mi interessa di più - oggi - è l’emozione e il ricordo che mantengo, magari legata a una situazione o una compagnia. Per questo, ricordo di un pranzo a Monte Vertine davanti al camino e un PERGOLE TORTE 1986 con Sergio Manetti e un gruppetto di amici.
In questo periodo ci è vietato ospitare amici a casa propria, la speranza viva nel cuore di tutti è che quanto prima potremo tornare a farlo. Immagini allora che un nostro lettore voglia invitare degli amici a cena e gli dia un consiglio per far colpo sugli ospiti?
Oggi quando invitiamo qualcuno a cena cerchiamo sempre di strafare, di dimostrare sempre qualcosa in più di quello che siamo di solito, scimmiottare magari qualche ricetta di uno chef famoso è sempre glamour. Io consiglio di essere noi stessi, umili e disponibili, ospitali e accoglienti, mettere a proprio agio chiunque. Se proprio volete un consiglio alla “Amici Miei”, li invitate a cena a casa, ma quando sono arrivati tutti chiamate un taxi e li portate al ristorante. Allora si, che farete colpo!
Volendo chiudere l’intervista dando un saluto di speranza per l’anno prossimo: ci faccia un po’ sognare... con quali vini lei brinderà alla fine di questo 2020 per salutare l’inizio del 2021?
Con un grande Champagne, sicuramente!