Rossella Cerea
Quella di Da Vittorio è la storia di una famiglia, in primis, ma anche di una pietra miliare della ristorazione italiana. Il locale apre a Bergamo nel 1966 per volere di papà Vittorio e mamma Bruna scommettendo su una cucina di pesce: un successo. Oggi il ristorante, trasferitosi nel 2005 a Brusaporto (Bg) e detentore di tre stelle Michelin dal 2010, è portato avanti da Bruna Cerea e dai suoi figli: Chicco e Bobo in cucina, Francesco alla direzione della ristorazione esterna, Rossella come responsabile del coordinamento di tutto ciò che avviene a Brusaporto, dell’accoglienza del ristorante Da Vittorio, del Relais & Chateaux La Dimora e come ideatrice della linea gift.
Maestra, appunto, nell’arte dell’accoglienza seppur con il sogno giovanile di diventare medico, respira e tramanda da anni i gesti dei genitori, primi patron del ristorante. “Giro per la sala – racconta Rossella Cerea – da quando avevo nove o dieci anni e, all’epoca, con mia madre e mia sorella eravamo le uniche figure femminili del locale. Oggi il mondo è cambiato, ci sono molte più donne nella ristorazione ed è bello condividere quello che ti piace con altre ragazze. Le quote rosa, nel nostro gruppo, sono aumentate sia in sala che in cucina, come maggiore è il tempo che dedichiamo oggi sia alla formazione che al benessere del personale”.
La Academy interna alla struttura di Brusaporto si propone infatti di trasmettere quel mix di professionalità e familiarità che da sempre contraddistingue l’atmosfera che si vive nel ristorante: “Il nostro approccio alla formazione è diventato fondamentale – prosegue Rossella Cerea – non solo per insegnare aspetti legati alla cucina, ma anche legati ai vari ruoli della sala, alla leadership, al lavorare in gruppo. Negli anni del dopoguerra le persone volevano un lavoro e basta, ora cercano stimoli, crescita, visioni per il futuro. Sono cambiati il tempo che dedichi al lavoro e l’importanza data alla qualità della vita: abbiamo deciso di dare più tempo libero a chi lavora con noi, realizzato ambienti per il riposo interni alla nostra struttura e ci siamo dedicati appunto alla formazione con corsi che durano sei mesi e in cui cerchiamo di far capire ai giovani che per imparare qualcosa non basta leggerlo online, bisogna viverlo, amarlo, approfondire, conoscere, dedicare del tempo”.
Ma oltre al ruolo delle donne e a questi aspetti legati alla vita e alla formazione, come è cambiato questo lavoro? “Il ristorante – prosegue Rossella Cerea – oggi è vissuto dal cliente non più solo come un luogo dove mangiare, ma per vivere un’esperienza che racchiuda di più rispetto al mero aspetto del cibo. Succede per esempio quando serviamo i Paccheri alla Vittorio coinvolgendo il cliente per mettere il parmigiano o chiedendogli di costruire il dolce con il nostro pasticcere. Ci piace regalare qualità e professionalità, far vivere un posto di lusso, ma nello stesso tempo far sentire i nostri ospiti a casa. Avere a che fare con la gente, conoscere le persone – prosegue – intrattenere rapporti che nel tempo sfociano quasi in amicizie è l’aspetto che più amo del mio lavoro. È stimolante riuscire a conquistare anche i clienti più difficili, capirli, accontentarli e farlo con il sorriso. Questo è il segreto dell’accoglienza, quello che mi ha insegnato mio padre indirizzandomi a essere sincera e a pormi in modo interessato nei loro confronti”.
Il successo di Da Vittorio è anche merito di una grande protagonista: Bruna Cerea che non è solo una mamma e una nonna, ma è soprattutto una donna appassionata del proprio lavoro, curiosa del mondo e sempre pronta ad accettare nuove sfide. È il collante che tiene unita la famiglia e, con sguardo attento ma discreto, supervisiona il lavoro dei figli, così come delle mogli, dei mariti e dei nipoti che oggi aiutano in cucina, in sala, in pasticceria.
“Mia mamma è una meravigliosa rompiscatole e lo dico con tutto l’amore del mondo – racconta Cerea – è una donna tosta, d’altri tempi. Lei e mio padre mi hanno lasciato tanti insegnamenti come il valore dell’unione della famiglia che ci portiamo appresso lavorando tutti insieme con lo stesso obiettivo e con grande rispetto. Oggi più che mai il confronto con la clientela deve essere sincero: la gente ama la semplicità, ha voglia di sperimentare con abbinamenti diversi sia nel cibo che nei pairing. Possiamo osare di più di un tempo, servendo vini, cocktail, sake, vini analcolici, ma restando nella semplicità di una cucina buona e dalla qualità non negoziabile”.


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Jessica Rosval
“È impegnativo, ma di una bellezza incredibile”. Inizia così il dialogo con Jessica Rosval, chef a capo del ristorante Al Gatto Verde di Modena, inaugurato nel 2023 nel cortile dell’acetaia Maria Luigia.
Siamo nell’orbita della Francescana Family in un luogo vocato alla convivialità, alla semplicità, all’accoglienza e a una cucina sul fuoco capace di regalare grandi emozioni per l’anima e per il palato. “La cucina del Gatto Verde – racconta la chef canadese – è contemporanea, racconta il territorio, i prodotti e la storia italiana filtrata attraverso le mie esperienze personali, attraverso lo sguardo di una straniera che guarda questo mondo con occhi diversi. Ho lasciato il Canada nel 2013 perché volevo viaggiare e scoprire il cibo migliore al mondo per me: l’Italia è stata la mia prima e ultima tappa, un amore a prima vista. Mi piace tutto di questo Paese – prosegue – come le grandi e le piccole storie, i dettagli di un prodotto, le tradizioni e i comuni di poche centinaia di abitanti, come il popolo italiano esprima l’amore per questa nazione, per la propria identità e la loro storia”.
La vita in cucina, Al Gatto Verde premiato con la stella Michelin e la stella verde nel 2024, si svolge attorno al forno a legna: la sfida, infatti, è quella di elevare il fuoco e tutto ciò che lo accompagna (calore, fumo, griglia) attraverso i migliori ingredienti del territorio. “Ho iniziato il lavoro di cuoca – racconta Rosval – nel 2005 studiando e lavorando per anni in grandi cucine con molta tecnologia e contemporaneità, ma dopo venti anni mi trovo dalla parte opposta: nella semplicità apparente dell’approccio a cotture con il fuoco e alla sua complessità. La mia contemporaneità di espressione si esprime attraverso l’antico metodo del fuoco. C’è molta poesia in questo, un tornare all’inizio entusiasmante perché quando riusciamo a dimenticare quello che abbiamo imparato ci apriamo a nuove cose della vita ed è bellissimo”.
L’inizio a Casa Maria Luigia per Jessica Rosval è stato nel 2019 con le colazioni preparate all’alba nei forni a legna, poi sono arrivati i pranzi della domenica con quel Tola Dolza che era brunch della domenica preparato sul fuoco e la sua naturale evoluzione, il progetto de Al Gatto Verde. “Come genere umano – prosegue la chef di Montreal – siamo attratti dal fuoco, ma per lavorarci devi creare un rapporto con le fiamme e con il fumo attraverso un processo che richiede attenzione e dedizione. Non si può certo programmare una temperatura e allontanarsi per ore: il coinvolgimento nel processo di cottura è più attivo e dinamico, si è più coinvolti e a livello tecnico è molto impegnativo, anche se di una spiccata bellezza perché il fuoco non brucia mai in modo uguale. Accendere i fuochi è liberatorio, anche in estate, quando fa caldo: abbiamo una cucina con grandi porte all’aperto e vediamo il cielo blu, respiriamo aria fresca, mentre gli affumicatori girano e siamo colpiti dal profumo della legna. È impegnativo, dicevo, ma di una bellezza incredibile”.
Dal 2021 Jessica Rosval è anche co-fondatrice e direttrice culinaria di AIW, Associazione per l’Integrazione delle Donne, programma di formazione culinaria rivolto alle donne migranti residenti a Modena. Questo ha portato l’anno successivo all’apertura di Roots, spazio di coworking di giorno e ristorante di sera.
“In Italia – prosegue nel racconto la chef canadese – mi sono sentita la benvenuta da subito. Quando arrivi in un paese straniero la tua più grande paura è quella di sentirti sola nella nuova terra, ma qui ho trovato una famiglia in cucina: spesso però succede che nelle nostre comunità altre donne non abbiano la stessa fortuna. Ecco perché insieme alla mia amica Caroline Caporossi, anche lei straniera, a partire dal 2000 abbiamo iniziato a ragionare su un programma che aiutasse le donne migranti svantaggiate dell’UE. Così è nato Roots: un ristorante in cui facciamo quattro mesi di formazione e che cinque sere a settimana è aperto al pubblico con piatti realizzati con le tecniche di cucina apprese sul posto, ma ispirati ai paesi di origine delle tirocinanti. È un luogo di scambio e apprezzamento che ha consentito all’85% delle nostre diplomate di trovare lavoro a Modena e dintorni. Oggi – aggiunge – in generale nel mondo della cucina il ruolo delle donne sta migliorando anche se quelle che arrivano a un livello di leadership a livello globale è sempre meno del 10%. E se il lavoro che portiamo avanti con Roots serve a dare possibilità di una vita migliore a tante donne emigranti, quello che facciamo Al Gatto Verde dove la quota rosa è importante è anch’esso un processo di crescita enorme, perché quando vedi che si sono donne che ce la fanno, ti senti a tuo agio, hai maggiore libertà di espressione, sei motivata e credi nelle possibilità di quel ruolo. Oggi – conclude – c’è bisogno di pari opportunità per tutti, con ambienti inclusivi e rispettosi capaci di donare il benessere a ogni cuoco, a qualunque genere appartenga”.


Paola Bogotto
Spinechile, in cimbro, significa spigolo di montagna, ed è qui, abbarbicato tra i boschi dell’Altopiano del Tretto che si trova il ristorante di Corrado Fasolato e Paola Bogotto.
Siamo a Schio, in provincia di Vicenza, e nemmeno l’ultimo tratto di strada, piena di curve e sterrata, impedisce agli ospiti di raggiungere questo ristorante immerso nella natura che fa dell’agricoltura e della sostenibilità un tratto importante della sua linea di cucina. Frutta e verdura sono dell’orto, radici ed erbe spontanee vengono raccolte nei dintorni del locale, le farine provengono da grani antichi di un piccolo mulino della zona e non manca la cacciagione.
In questo microcosmo autosufficiente da favola moderna si sperimenta, ma si guarda anche ai piatti classici che raccontano il percorso dello chef e a proposte totalmente green realizzate con i prodotti dell’azienda agricola di proprietà. In un contesto, dunque, di natura e armonia con l’ambiente, si inserisce il lavoro di Paola Bogotto, moglie di Fasolaro e sommelier del locale.
La sua passione per il vino nasce per amore: per seguire il marito chef, dopo la nascita dei figli, diventa sommelier a Venezia una ventina di anni fa e da lì approfondisce costantemente la sua conoscenza per il settore. “Propongo dei percorsi di pairing all’interno del ristorante – spiega – cercando di capire le tipologie di assaggio che predilige il mio cliente. Amo lavorare con piccole cantine, ne sono una ricercatrice accanita: intendo quelle realtà che producono non più di 2 mila bottiglie e i cui vini sono fatti con anima e cuore più che per essere venduti”. La carta di Spinechile conta 1500 referenze, dove non mancano anche nomi blasonati, ma in generale a parte qualche accenno sull’estero la carta è incentrata sull’Italia: “Prediligo i territori italiani – aggiunge Bogotto – i vini veneti, certo, ma anche etichette provenienti da Campania, Sicilia, Umbria e molte altre regioni, cercando di non fissarmi su un singolo territorio, ma dando uno spaccato interessante di tutta la nostra Italia”. Il pairing, a seconda dei percorsi, si completa con tisane fredde e calde, superalcolici, ma anche acqua. Già perché questo è il vero amore di
Paola Bogotto che dal 2012, anno di apertura di Spinechile, si dedica alle acque minerali, studiandone le origini, i luoghi, i benefici. Attualmente la carta delle acque del ristorante ne conta 22 di cui solo due italiane. “Le persone – spiega – pensano che l’acqua abbia un unico sapore, ma non è così perché ce ne sono di vulcaniche, di roccia, carsiche, di pozzi artesiani piuttosto che di sorgenti. Esistono acque salate, altre molto dolci o naturalmente effervescenti e io le faccio sempre degustare in calici differenti. Per esempio un’acqua fantastica – aggiunge – è quella georgiana: salata, dolce, con effervescenza naturale e una bollicina che svanisce in bocca è ricca di bicarbonato e, se servita con il secondo verso fine pasto, aiuta la digestione”.
E non è un caso che da Spinechile ci siano persone che vengono per provare proprio la degustazione di acqua in abbinamento al percorso degustativo: le acque provengono da Cile, Sud America, Portogallo, Inghilterra, Scozia, Finlandia, Islanda, Danimarca solo per citarne alcune. “ Con il risotto mantecato alla salvia con anguilla, polvere di lumaca, salsa di miele e grappa e soia che prepara mio marito – prosegue Bogotto – io abbino per esempio Il Grillo di Aldo Viola dalla Sicilia e l’acqua portoghese Vimeiro. Il vino è molto espressivo, territoriale, erbaceo, molto crudo ideale per pulire il palato; l’acqua è invece effervescente naturale, ha una bollicina molto pungente e va a neutralizzare i sapori per il piatto successivo”.
Autrice del libro “A letto con lo chef” in cui racconta la loro storia e la vita di questo uomo dalla vita frenetica e molto operativa, Paola Bogotto ama il ruolo di sala che riveste e ne sottolinea la sensibilità che le donne hanno nel conoscere e capire il cliente che si presenta loro di fronte.


In copertina: Rossella Cerea - Da Vittorio, Brusaporto