Cucina e dintorni 13 minuti 21 dicembre 2023

Eccellenze d’Umbria: le delizie biologiche di Capoccia Bio

Biologico, di nome e di fatto. Gabriele Capoccia ha innovato la storica azienda di famiglia per proiettarla nel futuro. A Gualdo Tadino (PG) un polo di eccellenza tra farine, zafferano e pane appena sfornato.

Cuore verde e pulsante d’Italia, l’Umbria non regala solo splendidi paesaggi da guardare, ma anche da gustare. L’agricoltura in questa regione ci sono tante perle gastronomiche che sono il frutto del duro lavoro dell’uomo in una terra non sempre facile da lavorare, soprattutto quando la produzione si sposta dalla pianura alle aree collinari. Nel tempo, agricoltori di seconda generazione stanno cambiando volto all’approccio di coltivazione, preservando la tradizione ma promuovendo la tecnologia, che consente di monitorare uliveti, campi e vigneti senza l’uso della chimica. A caratterizzare l’Umbria, infatti, una forte spinta verso il biologico e il biodinamico, perché il cibo non sia solo nutrimento buono, ma anche sano e vitale.

Tra le eccellenze umbre possiamo citare ceci e cicerchie, una vera miniera di proteine, fibre e potassio. Ancora oggi le aziende agricole più legate alla tradizione, alternano questa coltura ai cereali, per arricchire il nuovamente il terreno, impoverito da frumento e orzo. Nella cucina umbra si usano per zuppe gustose o per accompagnare come contorno salsicce, zampetti o cotiche di maiale.

E, parlando di zuppe il pensiero vola subito all’antica tradizione della Zuppa di lenticchie di Castelluccio di Norcia, un’altra meraviglia gastronomica umbra. Le lenticchie di Castelluccio di Norcia vengono seminate appena la neve si scioglie e fioriscono tra maggio e luglio, colorando la Piana di Castelluccio con dei piccoli fiori di colore bianco che si scorgono in mezzo a petali gialli, rossi e blu. Andare a vederle nel periodo della fioritura dà la sensazione di trovarsi immersi in un dipinto. Questa qualità di lenticchie, grazie alla modalità di coltivazione e alle condizioni climatiche, presenta notevoli proprietà nutritive e, grazie alla buccia sottile, non ha bisogno di ammollo. La famosa zuppa è un mix cipolla, carota, patata, sedano, lenticchie, aglio e salvia, da cucinare preferibilmente in un tegame di terracotta.

Lenticchie
Lenticchie

Continuiamo il nostro viaggio tra i legumi preziosi, per scoprire la fava cottòra dell’Amerino, varietà di piccole dimensioni altamente digeribile, tipica del territorio tra Todi, Orvieto e Amelia, ancora oggi raccolta a mano e secondo metodi tradizionali. Dal 2016 questo speciale ecotipo selezionato, di generazione in generazione, dagli abitanti del posto è Presidio Slow Food, l’unico della provincia di Terni. Sia la semina, che avviene nel freddo dell’inverno, che la raccolta, sotto il sole di luglio, sono ancora praticate a mano, o al massimo con l’aiuto di piccoli mezzi meccanici, in modo da pulire i baccelli e selezionare i semi meglio conservati. Altrettanto laboriosa la preparazione, che ne migliora la digeribilità: messe in acqua fredda, portate ad ebollizione e lasciate riposare per una notte, le fave vengono poi riposte in un contenitore in alluminio che risuonerà a contatto con quelle ancora dure, che vengono eliminate. Il nome “cottòra” anticipa anche un’altra caratteristica: la rapida cottura. Il terreno in cui queste fave crescono, povero di calcare attivo, rende infatti possibile una cottura relativamente rapida, senza dover nemmeno procedere alla decorticatura. Ottima con olio umbro, sale e pepe e cipolla fresca, la fava cottòra può essere trasformata in purea per condire le bruschette. Da non perdere un assaggio di “striscia con le fave”, con i legumi che vengono lessati nel grasso ottenuto dalla cottura della lunga striscia di grasso della zona ventrale del suino.

Gli appassionati di salumi, in Umbria potranno scoprire la nobile arte della Norcineria, attraverso un percorso che tocca la mitica Norcia, per continuare con Preci e Spoleto. La norcineria, intesa come lavorazione del maiale, non ha origini certe, quel che è certo è che l’allevamento del maiale nella zona di Norcia è presente dall’antichità grazie ai boschi di querce e ai suoi frutti, le ghiande, il loro cibo ideale. Inoltre, il clima asciutto del territorio risulta da sempre la condizione più favorevole per la conservazione delle carni. I macellai della Valnerina, in particolare quelli di Norcia, affinarono le loro tecniche sin dal XIII secolo esportando oltre regione l’arte del tagliare, salare e insaccare i maiali.

Molino a pietra
Molino a pietra

E cosa dire del preziosissimo zafferano? Cascia, Città della Pieve, Gubbio e Spoleto sono alcune delle “terre madri” di questa spezia che arricchisce i piatti con una nota aromatica unica, elegante e inconfondibile. Lo zafferano (Crocus Sativus), originario dell'Asia Minore, fu impiegato fin dall'antichità per uso tingere i tessuti, come farmaco e medicamento, come cosmetico e, naturalmente, come principe dei piatti. Furono gli Arabi a diffonderlo in Occidente, tanto è vero che la parola deriva dal persiano “sahafaran”, da “asfar” (giallo), passato nell'arabo “za’faran”. Le sue proprietà erano già note agli Egizi e nella Bibbia viene nominato nel Cantico dei Cantici. Omero lo cita nell'Iliade tra i fiori del letto di nuvole di Zeus. Il medico greco Ippocrate sottolinea le sue facoltà farmacologiche e il collega Galeno lo prescrive per tutti i mali. Conosciuto anche in India, viene ancora usato dai monaci buddisti per tingere le vesti.

A Città della Pieve la produzione affonda le sue origini nel XIII secolo. Oggi il consorzio Il croco di Pietro Perugino – Zafferano di Città della Pieve è costituito da 30 soci produttori di zafferano. A Cascia, dopo una grande diffusione dal ‘200 al ‘500 anche per le sue proprietà terapeutiche, la produzione dello zafferano è stata reintrodotta nel 1999. Nel 2003 è nata l’Associazione dello Zafferano di Cascia – Zafferano purissimo dell’Umbria, a cui aderiscono circa ventitré produttori e che coinvolge tutto il territorio della Valnerina. Ogni anno viene fissato il prezzo minimo del prodotto il 25 novembre, in occasione della festa di Santa Caterina di Alessandria, seguendo un’antica tradizione medievale. A fine ottobre, si tiene la coinvolgente Mostra Mercato dello Zafferano di Cascia. Sedici produttori dello spoletino sono, invece, riuniti nell’Associazione “Zafferano del Ducato” che promuove il consumo dell’oro rosso con manifestazioni, sagre, mostre mercato in Italia e all'estero. L'Associazione Zafferano di Gubbio, infine, nasce dall’intento di alcuni giovani di recuperare e far conoscere la produzione dell’antica spezia, dove alcune specie di Crocus sativus nascono spontaneamente. A Gubbio vi consigliamo di assaggiare il Coniglio allo zafferano, un piatto dal sapore deciso, ma addolcito dalla delicatezza della spezia che esalta le carni bianche.

Pistilli di zafferano biologico
Pistilli di zafferano biologico

Si dice Umbria e viene subito in mente il Tartufo Nero Pregiato umbro (Tuber Melanosporum Vittadini), la qualità prevalente: conosciuto anche come tartufo di Norcia e Spoleto, è diffuso anche nei comuni di Cascia, Preci, Monteleone di Spoleto, Poggiodomo, Scheggino, Sant'Anatolia di Narco, Vallo di Nera, Cerreto di Spoleto, Sellano, Campello sul Clitunno, Castel Ritaldi, Giano dell'Umbria e Stroncone. Si trova in tutti i territori che fiancheggiano il corso del Nera e, nella provincia di Perugia, principalmente sul monte Subasio. Cresce nei terreni calcarei e argillosi, vivendo in simbiosi con altre piante come quercia, leccio, faggio e castagno. Di grandezze diverse, dalla polpa nero rossastra con venature sottili bianche, colpisce per il suo profumo aromatico. E’ una vera delizia per appassionati.

Tra le specialità regionali anche la Patata rossa di Colfiorito Igp dalla forma ovale allungata, molto irregolare, con buccia rossa e polpa giallo chiara, particolarmente gradita per la produzione di gnocchi, panierini e patate alla brace.
Oltre alla produzione vitivinicola e olearia, e che si distingue a livello internazionale, l’Umbria vanta anche un’importante tradizione casearia. Si produce la caciotta, ricavata dal miglior latte del bestiame al pascolo nel periodo primaverile, e il pecorino è uno dei più antichi formaggi italiani le cui tecniche di produzione con il passare del tempo sono cambiate molto poco. Il pecorino migliore è quello prodotto tra maggio e giugno, fatto con il latte dei pascoli primaverili. Il pecorino si distingue in fresco (dolce), che si deve mangiare poco dopo la caseificazione, e stagionato (forte), che viene stagionato in luogo fresco, scuro e poco areato affinché acquisti sapore con il tempo. Oltre al prodotto fresco o stagionato, sono disponibili pecorini aromatizzati alle erbe e al tartufo nero di Norcia, un altro prezioso prodotti tipico umbro. Non manca la ricotta: dopo aver ricavato la pasta per pecorino, il liquido rimasto nella caldara, viene fatto riscaldare sul fuoco a 90-92 gradi fino alla comparsa dei fiocchi di ricotta. Questi vengono schiumati e versati nelle fuscelle di giunco, che favoriscono la scolatura del rimanente liquido: la scotta. Oggi si trovano ricotte artigianali aromatizzate alle erbe, al peperoncino, al tartufo, nonché diversi tipi di ricotte stagionate (sotto cenere, con crusca, con liquore, ecc.) che recuperano antichi sapori e tradizioni dell'Umbria.

Semina
Semina

In estate, il grano imbiondisce i campi, e dopo la raccolta viene utilizzato per farine che si utilizzeranno per la preparazione di pasta e pane. Di ottima qualità anche la ferina di farro, che viene utilizzata anche per preparare polenta, pasta, focacce, biscotti e torte. Contiene una minore quantità di glutine rispetto alla farina tradizionale, produce un pane denso di colore marrone scuro e dal caratteristico sapore al retrogusto di noci. Il farro viene coltivato nelle zone collinari e montane dell’Umbria, che di questo cereale vanta una varietà molto antica risalente all’Età del Bronzo e che nel 2010 ha ottenuto la Denominazione di Origine Protetta: il farro di Monteleone di Spoleto. Questo prodotto viene celebrato nella Fiera di San Felice, un fine settimana di luglio dedicato alla tradizione e alla cultura gastronomica locale. In programma, visite guidate, passeggiate a cavallo, degustazioni, tour in carrozza, spettacoli di arte equestre, ma anche convegni, musica e animazione per i più piccoli.

Farina grano tenero gentilrosso
Farina grano tenero gentilrosso

Questa tradizione agricola viene salvaguardata anche grazie al lavoro di giovani imprenditori che seguono le orme di nonni e bisnonni per continuare ad offrire un prodotto buono e salubre, oggi come allora. Un esempio è l’azienda agricola Capoccia bio che si trova a Gualdo Tadino, tra le verdi colline umbre e che produce farine biologiche, pasta, legumi, pane e zafferano.

“Erano i primi anni del ‘900 quando Cesare Capoccia, il mio bisnonno, si trasferì a Morano Osteria, una frazione di Gualdo Tadino – spiega il titolare Gabriele Capoccia -. La famiglia cresceva di pari passo con l’azienda agricola, che lo impegnava nei poderi e in numerose fiere di bestiame. Così, nel 1923, il bisnonno Cesare costruì una nuova abitazione, con le stalle al piano terra e le stanze al piano superiore. Nella chiave di volta della porta di ingresso erano scolpite le due “C” che sono oggi il nostro logo”.
“Poi nonno Alfredo, conseguito il diploma di perito agrario, proseguì l’opera del padre: l’azienda continuò a crescere e la famiglia si trasferì a Gualdo Tadino nel 1958 – continua -. Lo iniziò ad aiutare anche il figlio Cesare, mio padre, soprattutto con i mezzi meccanici arrivati a supporto degli agricoltori, ritagliandosi il tempo tra studio e lavoro. Oggi ci sono io, che ho iniziato una nuova avventura entrando in regime biologico e recuperando colture tradizionali dei territori umbri a lungo abbandonate”.
Gabriele Capoccia è affiancato dai genitori, Cesare e Laura, che con la loro formazione farmaceutica curano con attenzione gli aspetti nutrizionali di tutti i prodotti.

“Per noi scegliere il metodo biologico significa rispettare la terra e noi stessi: preservazione di ecosistema e biodiversità, nessun pesticida, sostanze e sapori genuini del cibo di una volta sono il nostro mantra. Svolgiamo noi tutte le lavorazioni: il lavoro nei campi, la molitura con un molino a pietra per realizzare farine biologiche, nel forno-laboratorio per utilizzarle nella panificazione. Produciamo legumi, cereali, farine, pane, basi per pizza o la tipica focaccia. Tra la nostra terra e la tavola dei clienti che ci scelgono non c’è nient’altro”.
“Il rispetto della terra, che passa dal metodo biologico, si unisce all’innovazione che viene messa al servizio dei valori tradizionali. La nostra sede, infatti, è un edificio NZEB, cioè ad energia quasi a zero e ad elevata efficienza energetica. Il mulino è di ultima generazione, ma a pietra a lenta rotazione per non alterare i valori nutrizionali dei prodotti. I nostri packaging sono tutti riciclabili e in materiali compostabili: fin da subito abbiamo eliminato la plastica. Per noi tecnologia non significa distruggere il passato, ma semplificare il lavoro quotidiano, anche per attrarre i giovani e invogliarli a svolgere in modo nuovo questo lavoro”.

Gabriele Capoccia
Gabriele Capoccia

Sostenibilità ed etica del lavoro che si riflettono in scelte precise: “Abbiamo adottato una tecnica di panificazione opposta alla classica, in cui il fornaio lavora per tutta la notte e lo sforna il pane la mattina. Da noi il fornaio arriva la mattina, il pane lievita durante il pomeriggio in celle controllate digitalmente e la mattina successiva, dopo una notte di sonno, il fornaio arriva e trova il forno già in temperatura per la cottura. Solo così questi mestieri non verranno abbandonati, perché troppo faticosi. Un altro passo avanti grazie al buon uso della tecnologia”.

“Il lavoro dell’agricoltore 2.0 ha una valenza sociale – spiega Capoccia -. Siamo le sentinelle del territorio, lo teniamo pulito, vivo e vitale. La nostra missione è conservare il patrimonio agricolo di campagna, così ricco di tesori da tramandare. Il cambio climatico è sotto gli occhi di tutti, il nostro lavoro cambia ma sarà sempre fondamentale per la vita dell’uomo”.
“Il nostro percorso aziendale non è stato semplice, visto che abbiamo aperto il 30 ottobre 2020, durante la pandemia, non abbiamo nemmeno fatto l’inaugurazione. Ci siamo subito reinventati con le consegne a domicilio, dal pane alle farine, fino alla pasta e alle basi per focaccia. La comunità si è stretta intorno a noi. Quei tempi difficili ci hanno rinforzato e ora siamo pronti a nuove sfide. Infatti, oltre ai terreni di famiglia, abbiamo preso in gestione altri terreni che rischiavano di essere abbandonati e oggi coltiviamo oltre 130 ettari. Tra i nostri fiori all’occhiello c’è il mulino a pietra reso tecnologico, il pastificio che trasforma le farine in varie formati di pasta e il forno da cui otteniamo il pane fresco. Inseriamo sempre delle novità, come i cracker e la linea di biscotti vegani con olio extravergine umbro dai nostri ulivi”.
“Stiamo sempre attenti a non impoverire il terreno che amiamo, quindi applichiamo la rotazione delle colture, metodo antico che si è perso nella coltivazione intensiva – spiega Capoccia -. I legumi, infatti, donano nutrimento al terreno, che viene assorbito dai cereali. Non guardiamo alla resa ma alla qualità”.
“Il grano è la mia passione e sognavo di recuperare le varietà con cui lavorava il mio bisnonno 100 anni – dice Capoccia-. Ho riscoperto, così, la coltivazione di Gentil Rosso, un grano tenero che si chiama così perché il chicco tende ad essere rossastro. Ha un ottimo retrogusto di cannella. Coltiviamo anche il grano turanicum, perfetto per la preparazione della crescia, ricetta tipica umbra. Nella nostra azienda agricola riscopriamo il sapore unico le sfumature di ogni grano. Tra le nostre produzioni anche segale, farro, orzo e il famoso Senatore Cappelli”. Il risultato della macinazione sono farine semi integrali o integrali, che mantengano le proprietà nutritive della materia prima iniziale.
Nei campi, tanto spazio anche ai legumi come ceci, cicerchie e roveja, l’antenato del pisello, più scuro e molto proteico, perfetto per l’alimentazione dei vegani che sono attenti all’assunzione di proteine vegetali.
Capoccia bio coltiva anche lo zafferano è una delle “gemme” più preziose dell’enogastronomia umbra.
“Prima di tutto selezioniamo i semi della migliore qualità – spiega Gabriele Capoccia -. La coltivazione avviene in zone collinari a circa 600 metri sul livello del mare. La raccolta viene fatta a mano, tra ottobre e novembre, nelle prime ore del mattino, poiché la luce intensa potrebbe alterare le caratteristiche organolettiche degli stimmi. Si estraggono dal fiore i tre pistilli, subito essiccati a bassa temperatura e confezionati per mantenere a lungo la qualità. Possono essere commercializzati solo se rigorosamente integri, a garanzia di autenticità del prodotto. Occorrono circa 200 pistilli per fare un grammo di zafferano. Rispetto alle colture estere, il nostro zafferano ha un sapore più intenso e concentrato, quindi si può usare in minori quantità, con un’ottima resa”.
“Ogni raccolta di zafferano mi stupisce – dice con emozione Capoccia -. Raccogliamo i fiori e, il giorno dopo, ne sono spuntati più del giorno precedente. I campi vivono di una rinascita continua. È bello lavorare come un tempo con i miei collaboratori, che sono la mia seconda famiglia. Oggi siamo in undici e spero diventeremo sempre di più”.

La storia di famiglia emerge da ogni racconto: “Quando cammino nei campi, riaffiora alla memoria quando camminavo mano nella mano con mio nonno, che mi raccontava dei tristi tempi della guerra e di come il lavoro dei campi li ha aiutati a sopravvivere. Per me lavorare questa terra è mantenere vivo il ricordo di chi mi ha preceduto. Ad esempio, tra i nostri prodotti più venduti c’è una crostata con noci e albumi, un’antica ricetta di nonna Olga. Assaggiarla mi riporta alle domeniche in famiglia e mi sento felice. Spero di regalare la stessa sensazione a chi compra i nostri prodotti”.
Non solo vendita diretta o online ai clienti, ma anche attenzione al settore della ristorazione: “Vogliamo aprire un dialogo sempre più approfondito con gli chef perché sono i primi ambasciatori del territorio, attenti alla qualità del prodotto che, grazie alla loro professionalità, sanno riconoscere. Quando i nostri prodotti “entrano” in un piatto, parlano con una voce ancora più forte. Spero che gli chef diventino sempre di più i miei interlocutori primari”.

Sede aziendale - notturna
Sede aziendale - notturna
Roveja
Roveja

Il desiderio di Gabriele Capoccia inizia già a realizzarsi, con chef stellati MICHELIN che si stanno interessando ai suoi prodotti di eccezionale qualità. Un esempio è Marco Lagrimino del ristorante L’Acciuga di Perugia.
“Il mio contatto con le realtà locali è costante e diretto, mi sposto per la regione alla ricerca di eccellenze – spiega Lagrimino -. Il lavoro dello chef deve partire dalla materia prima o diventa un puro esercizio di stile. Uso al 90% prendiamo ingredienti locali e stringo rapporti di amicizia con i piccoli produttori. Come Simone, che ha un ortofrutta da anni. Quando gli ingredienti sono vicini alla maturazione giusta mi manda un promemoria su cosa si può mettere nel menu. Lo stesso vale per la carne: scelgo solo realtà attente alla qualità di vita degli animali, seguendo in proprio il percorso dal foraggio alla macellazione. Ho conosciuto Gabriele Capoccia durante un mercato locale. Mi ha colpito per la sua passione e competenza. Inoltre, visto che hanno anche la parte di trasformazione, ho provato il pane e ne sono rimasto impressionato, davvero buono. Ho iniziato ad assaggiare anche tutti i legumi e ho notato una bella differenza rispetto agli altri: hanno un sapore più deciso, intenso, concentrato e una resa in cottura eccezionale, non hanno pellicine, non si spappolano, e sono perfetti per un uso di alta cucina”.

“Per L’Acciuga acquisto da Capoccia bio una farina di grani di grani antichi, con cui preparo un grissino classico, con olio umbro, lievito e acqua, steso a mano. Prima di infornarlo, spolvero con la loro farina di mais grossolana per dare una maggiore croccantezza e un sapore più deciso. Tengo molto al cestino del pane che, oltre ai grissini, comprende pane bianco e pane al farro con noci e pecorino. Sempre con le farine Capoccia bio ho creato dei cracker di farina di farro con extravergine umbro, della selezione Viola, il Tradizionale, un’altra incredibile specialità della nostra regione”.
Con il pane al farro di Capoccia bio, lo chef Lagrimino crea anche un piatto molto gustoso, dimostrando la versatilità di questo alimento antico: “Si tratta di una sorta di bruschetta liquida. Prendo il pane al farro di Capoccia bio e lo faccio tostare in forno. Poi lo metto in ammollo in acqua per ammorbidirlo e lo frullo, creando una crema di pane. In una ciotolina mettiamo alla base la crema di pane al farro sifonata, la crema di pomodori secchi frullati, il Sincero di olio Viola, la polvere di aglio disidratato e il lievito di birra disidrato. Ottengo così un’esplosione di bruschetta italiana, con l’amaro pronunciato dell’olio, la sensazione vellutata del farro e la piacevole nota acidula del pomodoro. La nota amaricante sta piacendo molto e la uso con entusiasmo nella mia cucina, che va oltre gli schemi”.
Lo zafferano di Capoccia bio è un altro dei must de L’Acciuga: “Lo zafferano che producono è buonissimo, mi colpisce anche in questo caso per la forza e l’intensità – continua Marco Lagrimino -. Ne posso usare meno rispetto ad altri, con un risultato migliore. Attualmente lo uso per creare una sorta di acqua di zafferano che serve a cuocere i datterini rossi. Li sbianchisco, tolgo la pelle e li metto nell’acqua di zafferano e li cuocio sottovuoto a 60 gradi per trenta minuti. Lo zafferano si sposa con la dolcezza del datterino, aumentandone il colore rosso. La composizione del piatto vede i datterini tiepidi allo zafferano affiancati dai pomodorini gialli semidry, essiccati a 60 gradi per 4-5 ore, conditi con estratto di pepe di Giamaica e passati sulla griglia. Alterno i colori, rosso e giallo, unisco un estratto di dragoncello, champignon crema tagliati sottilmente, e kombucha di porcini. Si tratta di una portata vegana, perché credo che la cucina vegetale sia il futuro. L’Umbria è terra di carni di qualità assoluta, ma c’è spazio anche per tanto altro”.
L’onda green di Lagrimino prosegue con la roveja di Capoccia bio. “Mi piace perché ha un sapore terroso che esprime il carattere sincero della terra umbra. La roveja è un pisello antico che si dice che sia il padre di tutti i piselli in circolazione. Ha una lavorazione difficile: ammollo di due giorni e una cottura lunghissima, di circa di 3 ore, ma, secondo me, ne vale la pena. Al nostro ristorante stracuociamo la roveja, la essicchiamo e ne facciamo una farina con cui creiamo dei maltagliati. Il piatto a cui sto lavorando sarà una rivisitazione di una zuppa classica. I maltagliati di roveja saranno conditi con tom ka gai, salsa thailandese che si fa tradizionalmente con latte di cocco, lime e citronella. Noi sostituiamo la parte grassa con le lenticchie, conservando la componente limonata. I maltagliati sono ripassati in un fondo di fagiolina del Trasimeno. Tocco finale, i ceci di Capoccia bio, stracotti, essiccati e fritti. Si gonfiano come i pop corn mantenendo la forma e il loro sapore autentico. Lavoro molto sui legumi perché sono una proteina vegetale nobile e importante anche per chi cerca un’alimentazione sana”.
Chef Lagrimino è un vero cercatore di eccellenze e il suo sguardo sull’Umbria è unico e originale. “Se vogliamo concentrarci un po’ sulla carne, amo utilizzare in cucina il porco cinturello, una varietà tipica di Orvieto, mix tra una senese e un classico maiale italiano. Si tratta di un animale con tempi lunghi di crescita e che sviluppa grassi molto dolci, simili a quelli della cinta sensese, che rendono la carne umida e saporita. Il mio piatto vede protagoniste la testa, gli stichi, le orecchie e le parti meno nobili, in chiave antispreco. Preparo una sorta di ramen umbro che comprende uno spaghettino fatto con albumi e farina grado duro, la lattuga marinata con lo zenzero, la pancia cotta a bassa temperatura passata alla griglia con glassa al melograno, l’estratto di nasturzio, la crema di castagne, la polvere di giuggiole e, per finire, i semi di lino croccante”.

Spazio anche ad altre tipicità, come l’Anguilla del Trasimeno che viene pensata, ancora una volta, in chiave antispreco: l’anguilla viene laccata con una salsa barbecue fatta con bucce di castagne tostate, aceto, miele spezie, accompagnata da una spuma di castagne e gocce di estratto di ginepro. Come entrée, ecco l’ottima ricotta salata della Valnerina, frullata col latte per ottenere una consistenza morbida, abbinata al melone invernale marinato con l’anice. “L’Umbria è una miniera di tesori e continueremo a studiare a sperimentare per valorizzarli al meglio – conclude Lagrimino -. Il lavoro dello chef è dar voce al territorio attraverso la creatività”.
“Operiamo in terreni collinari e scoscesi, che si lavorano con fatica – gli fa eco, concludendo, Gabriele Capoccia -. Siamo figli di una terra compatta ma fertile, che dà soddisfazione se coltivata con amore. L’agricoltura è un mestiere difficile ma che sa regalare soddisfazioni inimmaginabili. Quando prendo il mano le farine, il pane o la pasta che produco, un po’ mi commuovo e penso che i miei nonni e i miei bisnonni sarebbero fieri di ciò che stiamo facendo”.


L'Acciuga - Lido Vannucchi
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L'Acciuga - Lido Vannucchi
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In copertina: Farine biologiche - Capoccia Bio



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