Food Sapiens 3 minuti 24 gennaio 2020

Intervista allo chef Ciccio Sultano – ristorante DUOMO, Ragusa

A pochi metri dal Duomo di San Giorgio, la cucina di Ciccio Sultano è una dichiarazione d'amore per la Sicilia, i piatti una straordinaria carrellata di eccellenze del territorio.

Nel 2020 il suo ristorante Duomo di Ragusa compie 20 anni, un gran bel traguardo: quali sono stati i momenti più emozionanti di questa lunga storia?
Ricevere la prima stella Michelin e organizzarsi di conseguenza. Un evento che cambia la percezione del proprio ruolo e il vero inizio di un desiderio di perfezione. Emozione e impegno ancora maggiori per la seconda stella. Accanto a questi due eventi c’è, poi, il costante riconoscimento da parte della stampa internazionale e della clientela che ti dà una grande carica.

Sente che con la sua presenza nella ristorazione, soprattutto dei suoi 20 anni di Duomo, sta incidendo in qualche modo sulla sostenibilità del territorio? Quali sono gli atteggiamenti quotidiani inerenti il food, che vanno incoraggiati in tal senso?
Un locale come il nostro ha il dovere di dare l’esempio, sia nel sostenere la crescita del territorio sia nel concetto attuale di sostenibilità ambientale.
Fin dall’inizio, ho cercato e coinvolto i produttori, stabilendo un rapporto di fiducia, divenuto personale, perché è il fornitore che difende il mio onore e quello del cliente. Il vero sostegno si basa sulla dignità reciproca, dal punto di vista economico e culturale. Promuovere la qualità è contribuire alla storia. Allargando il discorso della sostenibilità all’ecologia, penso che valgano molto i piccoli gesti, il fatto che una comunità di 20-30 persone si preoccupi di economizzare e riciclare i materiali. Chi raccoglie una bottiglia, abbassa la schiena, compie un’azione diretta, diventa ecosostenibile anche attraverso l’esempio. Cosa ben diversa dagli annunci, dall’eco marketing. Sostenibile nel campo dell’alimentazione e della ristorazione è un comportamento prima ancora di essere un’ideologia, una politica, una moda.

La maggior parte dei cuochi fanno una scelta netta, alcuni sposano l’innovazione, altri difendono la tradizione. Lei sin dall’inizio ha deciso di farle dialogare: perché?
L’una è conseguenza dell’altra e la tradizione rappresenta l’innovazione di ieri. Non si può andare avanti senza guardare indietro. In un luogo di molte vite, civiltà e ingredienti, in un’Isola di isole com’è la Sicilia, l’unica cucina difendibile, per cui valga la pena battersi, è una cucina che reinventi, quotidianamente, la tradizione. Per farlo, bisogna pensare a due verbi: tradurre e tradire. L’etimologia di tradurre è passare al di là, mentre quella di tradire equivale a dare, consegnare, mettere in mano. La mia cucina passa al di là dei luoghi comuni culturali e culinari e consegna l’innovazione, la futura tradizione.

I piatti del ristorante Duomo sono – spesso - accompagnati in carta da interessanti sottotitoli che fanno riferimento alla storia culturale isolana: lei ritiene possano convivere modernità ed antiche tradizioni siciliane?
Certamente, le nostre sono radici che corrono profonde. L’80% della mia clientela è estera e da vent’anni conferma questa scelta. Nei piatti, c’è bisogno di verità, di storie. Noi offriamo un percorso, un cammino attuale senza estremizzazioni. Con il menu “Dominazioni siciliane”, dodici ricette tra passato e futuro, non ci siamo occupati di archeologia culinaria, ma abbiamo sperimentato il fascino della storia, come questa riesca ancora a parlarci, a sedurci. Abbiamo, alla fine, mostrato la centralità della Sicilia, un’isola continente tra nord e sud e tra est e ovest.

Quali sono gli ingredienti regionali più rari, le unicità che ha recuperato inserendole in qualche ricetta?
I primi che mi vengono in mente sono la bottarga e il maialino nero dei Nebrodi, allevato da La Paisanella, proposto nella versione, estiva e invernale, col melone Cantalupo o la castagna. La bottarga è essa stessa una ricetta. Quella che uso, l’ho realizzata a quattro mani con Alfio Visalli. Una produzione certosina, un tale concentrato ed equilibrio di gusto che bastano pochi grammi per condire un piatto. È nella “seconda chiamata di sale” che dalla fase di fermentazione si passa alla fase floreale, dove vengono aggiunti petali di rosa, sambuco, miele ibleo e altri segreti. Il procedimento non è certo concluso, ma in quel momento succede qualcosa di unico.

Nella consapevolezza che la Sicilia sia una regione ricchissima di grandi ingredienti, dovesse sceglierne solo tre in grado di rappresentarla più degli altri, quali sceglierebbe? E perché?
Tre ingredienti universali, che sono alla base della civiltà mediterranea: olio, sale e grano. L’olio extravergine per il semplice fatto che capisci quanto è importante quando non ce l’hai. Il sale per aver determinato l’economia del mondo antico. Il grano, perché basterebbe pensare a cosa il Sud Italia ha saputo tirar fuori da un chicco di grano: pane, focacce, torte, biscotti, pizza…

Invece, sempre volendo creare un ideale podio, quali sono i tre piatti che per un motivo o per un altro - momento, gusto, armonia, amore del pubblico – rappresentano al meglio il suo Duomo?
Dal 2004, anno della prima stella, nel menu sono transitati più di quattrocento piatti, tra questi mi piace ricordare il cannolo siciliano, servito per la prima volta nel piatto; la pasta taratatà dove l’accostamento tra un battuto di bottarga e la carota cruda ha scatenato un souvenir della mia infanzia, ritrovando, magicamente, in bocca il sapore dei gelsi bianchi che mangiavo, arrampicato sugli alberi. Il terzo è la Triglia maggiore di scoglio – “Dominazioni siciliane” - dal De Coquinaria di Apicio.

La presenza di stranieri è tornata ad aumentare negli ultimi anni, soprattutto nelle zone molto vocate al turismo come la sua isola, in qualche modo la loro presenza incide sulla scelta dei piatti da inserire in carta?
Gli stranieri sono i benvenuti. Ci occupiamo di loro amorevolmente come di qualsiasi cliente, ma questo non vuol dire che la scelta dei piatti sia determinata dalla loro presenza. La questione è un’altra. La cucina siciliana è talmente ricca di influssi, ingredienti, tecniche da imporsi, senza sforzi, come una cucina internazionale, di tutti, a condizione di saperla attualizzare, di leggerne le straordinarie potenzialità.

Oggi il cuoco di successo molto spesso è anche un manager, anche lei gestisce ed ha gestito altri ristoranti in parallelo al Duomo, qual è il segreto che permette di fare tutto con coerenza e qualità?
Non importa dove ti trovi, occorre sempre usare le materie migliori e coinvolgere fino in fondo i propri collaboratori. Cosa dobbiamo dare ai clienti? Per cominciare, il piacer di ristorarsi, di sedersi e di gustare, poi il fatto che sia una festa e, infine, che quel momento sia ricordato per i dettagli, umanità e stile. Per l’eleganza più che per una semplice esibizione di lusso.

Al di là degli chef, quali sono gli artigiani del gusto più interessanti del suo territorio?
Alcuni li abbiamo già citati. Vanno anche ricordati i tanti vignaioli, i maestri oleari. E potrei aggiungere Raoul e Jessica di Villa Melina per gli ortaggi, Giuseppe Grasso di Allevabio per la carne, Carmelo Cilia di Food Custodi dei Sensi per l’affinamento dei formaggi

Come si vede nei prossimi 20 anni?
Con la terza stella, cucita da tempo, sulla giacca e con altri locali in giro per il mondo da affiancare a Vienna e Noto.

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