Secondo molti estimatori, il porceddu è l’apoteosi della paziente e controllata arte dell’arrostitura girevole le cui eredità gastronomiche vanno ricercate nella presenza spagnola in Sardegna alla fine del XVI secolo. Se la sequela di nomi (porcetto, porcheddu, proxeddu, coppiedu) è eterogenea come paesaggi e lessici locali, il disciplinare a tutela delle tradizioni è, invece, unico per tutto il territorio. A cominciare dai maialini locali di massimo nove chili con cereali ed erbe come unica concessione ad una nutrizione a base di latte. I passi successivi nella resa ottimale sono aromatizzazione ed eventuale imbottitura con mirto, alloro, timo e finocchietto selvatico. Avviato il lento processo di cottura (idealmente in verticale per circa 4/5 ore a temperature non superiori ai 100 gradi) irrorare occasionalmente il porceddu con lardo sciolto e aromi è l’essenziale procedura per creare la speciale sinfonia di contrasti, profumi e consistenze nei vari strati delle carni. Ulteriore accorgimento suggerito dai pastori, che in passato - in alcune remote località di montagna - lo preparavano a carraxia nei forni sotterranei, è non ammorbidire mai la cotenna.
Oggi, come per molte altre ricette divenute storiche, il porceddu è passato da alimento di lusso riservato ai giorni di festa (privarsi di un maialino significava e significa rinunciare a prosciutti, sanguinaccio, strutto, spalle e molto altro) a fatto assodato. Nel continuo moltiplicarsi dell’offerta a sancire l’ormai internazionale fama del piatto, l'interpretazione del Bib Gourmand Su Gologone offre solide ed autentiche garanzie di bontà. Idem per l’evoluzioni stellate di Stefano Deidda Dal Corsaro di Cagliari. A detta degli ispettori MICHELIN: “Un indirizzo che esalta ed enfatizza la cultura culinaria dell’isola: sosta gastronomica imperdibile se ci si trova nel vivace capoluogo”.