La Guida MICHELIN mette in evidenza con enfasi gli chef impegnati in una gastronomia più sostenibile. Lo fa assegnando ai loro ristoranti la Stella Verde: importante award che in Italia ha preso il via dall’edizione 2021 della Guida “rossa”. Assegnata assieme ad altri 12 protagonisti anche al Dattilo di Caterina Ceraudo, il ristorante è – di fatto - un agriturismo rurale che si raggiunge passando attraverso un interessante paesaggio collinare, in una contrada verdeggiante del comune di Strongoli, non lontana dal mar Ionio. Risorsa dotata di camere semplicissime, dal profilo rustico in realtà, ma impreziosita nel giardino da ulivi millenari, talmente ampi e scavati (meglio dire scolpiti!), da sembrare vere e proprie opere d’arte.
“Abito in una casa del ‘600 e sono circondata da piante di questa grandezza ed ho la sensazione costante di essere una delle persone che hanno abitato questo luogo, di essere solo di passaggio e ancora di più mi sento responsabilizzata nel preservarlo e nell’amarlo”.
Vale sempre la pena, quando ci si viene, farsi accompagnare anche nell’uliveto dal quale si produce un eccellente olio EVO, situato a breve distanza dalla casa e che - appunto - il patron ha sempre descritto come “museo a cielo aperto”. Si rimane letteralmente a bocca aperta nel vedere le forme uniche, incredibili che l’albero prende con lo scorrere dei secoli. Il ristorante offre un’ambientazione più curata, ricavato com’è nel vecchio frantoio di un casolare del Seicento. Qui brilla oltre alla stella verde anche la stella Michelin di Caterina Ceraudo. Donna del sud, cuoca di talento, Caterina, figlia del patron Roberto Ceraudo, è stata tra l’altro eletta da Michelin “Migliore chef donna 2017”. In effetti il tempo è andato veloce al Dattilo, a giudicare da tanti e tali traguardi, anche semplicemente da quel 2003, anno in cui Roberto aprì il locale. Partì come azienda tradizionale e poi quasi subito la svolta verso la sostenibilità.
“Sicuramente il protagonista iniziale di questa storia è mio papà Roberto, che nel 1973, dopo il servizio militare, decide di provare a realizzare il suo sogno, aprire un'azienda agricola. Accende un mutuo, compra 40 ettari di terra intorno ad un casolare e si rimbocca le maniche perché la sua scommessa con la Cassa di Risparmio di Cosenza non sia persa. Così passa le giornate tra l'uliveto, l'agrumeto, l'orto e soprattutto le vigne. Fu proprio un incidente tra i filari a portarlo sulla strada del biologico. Siamo negli anni '80 e una mattina si guasta il tubo dell'alta pressione per nebulizzare i pesticidi, ingenuamente mio papà ci si piazza davanti per ripararlo e viene investito da una spruzzata. Quella stessa notte inizia a sentirsi male e finisce col trovarsi in rianimazione in pericolo di vita per una settimana. Il problema era la dose massiccia di pesticida che lo ha investito, ma grazie a questo episodio decide di non voler scendere più a compromessi. Basta pesticidi, né pochi né pochissimi: se fanno male all'uomo fanno male alla terra. E allora ha iniziato il lavoro per convertire l'azienda al regime biologico”.
Le idee e l’energia non si sono mai arrestate da quel tempo ormai lontano da quando l’azienda agricola - così come il ristorante - vivono in maniera ecosostenibile. Passo ulteriore in questa direzione fu il dotarsi anche di un impianto fotovoltaico con il quale sono riusciti a divenire indipendenti a livello energetico. Il fabbisogno delle materie prime è soddisfatto in buona parte dall’autoproduzione, a partire da olive ed olio quindi, ma anche vite e vino, arance ed orti, permettendo che le stagioni garantiscano alla biodiversità di arricchire anche la tavola.
Con una materia prima pulsante come quella appena descritta, senza farsi prendere la mano ma neppure rimanendo in ombra, chef Caterina disegna piatti di cucina moderna, dal sapore vincente e di contemporanea leggerezza: tutte qualità evidentemente ben comprese ed apprese dalla frequentazione della scuola del tri-stellato Niko Romito.
Dentice, bergamotto, limo e senape selvatica oppure triglia, pane e arance, ancora bottone con mandorle e ‘nduja (il brodo in questo caso è realizzato con le bucce delle patate, per ridurre al minimo gli scarti), con simili piatti al Dattilo stanno disegnando, in una zona poco celebre della Calabria, una splendida via mediterranea alla sostenibilità, puntando sul territorio, sulla materia prima, sulla semplicità intesa come conoscenza profonda di ciò che si sta facendo.
Partiamo proprio da qui, dalla Calabria, dal Meridione: la sostenibilità può diventare motore di traino e crescita per il Sud?
“La sostenibilità, specialmente per il sud Italia, è un tema ancora giovane, ci vogliono tempi tecnici e un grande investimento sia dal punto di vista professionale che economico. Bisogna fare costante ricerca sui prodotti, tentare diverse strade per trovare quella giusta, per trovare per esempio fitofarmaci naturali, non di sintesi, che possono aiutarci a produrre meglio nel rispetto dei ritmi della natura. Qui a Strongoli siamo fortunati perché da un punto di vista climatico non abbiamo grandi criticità, ma penso a chi deve difendere le piante in condizioni avverse. Nel sud Italia troppo spesso mancano le opportunità ed i mezzi per un cambiamento di questo genere. Abbiamo, però, delle bellissime aziende e siamo protetti da un bel clima, qualora vi fossero delle azioni nazionali o regionali a sostegno di queste realtà, siamo sicuri che potremmo fare un buonissimo lavoro. Il sud Italia è sempre stato più lento del resto della nazione, qui l’industria è quasi inesistente e la natura è sconfinata … mantenere la terra così, è fondamentale per preservare il territorio, farlo conoscere e apprezzare dal mondo intero, senza alterare i paesaggi e le meraviglie naturali che lo caratterizzano. Questo è, per altro, un modo semplice per fare leva sul turismo”.
Oltre a papà Roberto, quanta ispirazioni possono averle dato gli splendidi ulivi millenari di vostra proprietà?
Le ulivete millenarie fanno parte della mia storia e della storia della mia famiglia da sempre, perciò credo che siano alla base della mia ispirazione, crescita e amore verso la natura. Se queste piante sono riuscite a vivere per migliaia di anni senza l’ausilio di pesticidi o altre sostanze, abbiamo la prova vivente che sono totalmente superflue. Gli ulivi millenari sono CASA, una grande fonte d’ispirazione perché ti domandi quante persone hanno potuto vedere questa bellezza e quante altre persone potranno vederla.
Non allevando animali e non essendo pescatori, in quale modo riuscite a rifornirvi rispettando il vostro credo green?
“Per quanto riguarda i rifornimenti, cerchiamo di fare la giusta programmazione. Non basta utilizzare tutto ciò che si compra o raccoglie, ma programmare a monte: raccogliere o comprare ciò che realmente servirà. Con la spesa e gli ordini secondo mercato, giorno per giorno.
Per ridurre gli sprechi si mette in dispensa solo quello che servirà. Nel caso dei prodotti ittici: i pescatori stessi ci chiamano quando arriva il pesce. Poi la tecnologia aiuta. Quando c'è il fermo biologico io lo so in anticipo e prevedo di abbattere i prodotti ittici necessari in modo da averli come freschi. In sostanza bisogna conoscere la filiera, del pesce e delle carni: la scelta dei fornitori è attenta e il più possibile vicina ai nostri stessi valori. Poiché inoltre ogni preparazione ha scarti e avanzi, anche quelli da noi diventano parte dei piatti. Utilizziamo tutte le bucce, di frutta e verdura, in vari modi, anche in cucina. Basti solo pensare alle bucce di patate: noi le laviamo e conserviamo essiccate, serviranno per alcuni brodi. Anche le bucce esterne delle cipolle, delle carote, i gambi degli spinaci e brattee più dure dei carciofi. È un modo non solo per risparmiare ma per sensibilizzare. Quando ne faccio preparazioni per il pranzo del personale, a volte i ragazzi più giovani non riescono a credere che dai cosiddetti scarti si possa ottenere tanta bontà. A maggior ragione per gli animali. Non compro solo le parti cosiddette pregiate. L'agnello lo compro tutto e uso tutte le parti. Non è pensabile il sacrificio di un animale solo per il carré o il filetto. Del pollo non viene buttato nulla, dalle parti pregiate in menu ai tagli per il brodo”.
La terra salverà la Terra? Avere un pezzo più o meno importante di terra da coltivare – a maggior ragione nel settore della ristorazione - può fare la differenza per un mondo più sostenibile?
“Sono certa che, dopo tanti errori, stiamo cercando di arrivare alla versione migliore di noi stessi. Mio padre dice sempre che… “l’uomo è un danno per la terra”, ed ha ragione, ma è allo stesso tempo il suo salvatore, con metodi di coltivazione alternativa riuscirà a fare sempre meglio e a ricreare ciò che ha distrutto. Ho visto recentemente un vecchio film che si chiama GOOD BYE LENIN, bellissimo. Qui il concetto di preservare le diversità e di non omologarsi è spiegato benissimo. Non sono solo i grandi marchi della moda che hanno omologato i nostri gusti, ma anche i trend gastronomici che da 20 anni hanno condizionato le scelte di tanti cuochi del mondo. Nei nostri circa 4 ettari facciamo semine diverse in base a quel che serve stagione per stagione. Compriamo pochissimi prodotti da fuori, come per esempio i frutti rossi e cerchiamo, come dicevo poc’anzi, di limitare al massimo gli sprechi utilizzando ogni parte del prodotto per il ristorante o per nutrire i nostri animali. Sicuramente coltivare la terra, coltivare frutta e verdura a Km zero ci aiuta a focalizzarci sulla stagionalità, caratteristica imprescindibile di ogni mio piatto”.
Proprio la miglior stagione della Calabria!
Hero image Caterina Ceraudo © Michelin