Food Sapiens 3 minuti 09 ottobre 2020

Intervista allo chef UMBERTO DE MARTINO – ristorante Umberto De Martino, San Paolo d’Argon

Sulle colline che osservano San Paolo d’Argon, in un ambiente elegante ed accogliente, Umberto De Martino è l'indirizzo giusto per esperienze gastronomiche che non si limitano al business lunch, ma prevedono percorsi di degustazione guidata.

Buongiorno signor Umberto,

ci racconti un po’ di lei… Sorrentino di nascita, figlio d’arte, ha sentito la passione per la cucina fin dalla più giovane età. Cosa – in particolare – ha fatto scattare la scintilla che l’ha convinta ad intraprendere questa carriera?
Mi sono avvicinato al mondo della cucina per un unico motivo che illustrerò più avanti. A parte essere figlio d’arte, non avendo però un buon rapporto con mio padre, non lo consideravo un esempio. Il mio accostarmi alla cucina è stato un modo per scappare da situazioni che mi mettevano in imbarazzo. La cucina è un universo dove quando entri, ci sono poche domande da porre, pochi confronti da avere. Si è in cucina con un ruolo ben definito: ascoltare ed eseguire! Questo ha fatto in modo che nel tempo acquisissi fiducia in me stesso e – cosa fondamentale - all’età di 19 mi ero già lasciato alle spalle il problema della balbuzie. Il mio sogno era di diventare ingegnere meccanico, ma il mio piccolo problema m’impediva di essere sereno e sebbene studiassi moltissimo le interrogazioni orali erano una catastrofe. In quelle situazioni maturavo sempre più, il desiderio di lasciare gli studi e alla fine della scuola dell’obbligo mi ritirai. Posso solo dire una cosa, visto che avevo vergogna di espormi oralmente, tutto ciò mi ha messo in condizioni di ascoltare e assorbire tutto quello che i miei chef mi spiegavano, anche solo una volta. Ogni parola era un file da inserire nel mio cervello, per trovarlo poi lì - ogni volta - senza la necessità di chiedere e farsi prendere in giro dai colleghi. Questo ha fatto in modo di accelerare la mia crescita professionale.

Da Florian Maison il locale è stato “ribattezzato” con il suo nome. È stata una scelta mirata a meglio identificare l’identità delle sue diverse attività, cioè del ristorante e dell’albergo? O c’è dell’altro?
La ragione vera nel ribattezzare il ristorante con il mio nome è per due semplici motivi. Il primo è che sulla guida eravamo menzionati sia per le camere, che per il ristornate con la stessa insegna e - a quel punto - ho pensato, perché non dividere e avere maggiore visibilità con due format? Secondo motivo, sappiamo tutti che noi cuochi siamo un po' vanitosi  e allora ho pensato, che anche personalmente e non solo professionalmente, dopo tanti anni di sacrifici sarebbe stata una gratitudine maggiore.

Una sala elegante in una posizione piacevole, ma non lungo percorsi di passaggio o turistici; la sua location defilata vi ha creato qualche difficoltà, all’inizio di questa bella avventura?
Sicuramente se mi guardo indietro, le difficoltà che abbiamo avuto nei primi anni sono dovute anche al fatto che, non essendo conosciuto nella bergamasca ed essendo la struttura fuori città, si faceva fatica a portare gli ospiti ai nostri tavoli. Oggi invece è un’altra musica! Arrivano ospiti da tutta la Lombardia e molti anche dall’estero.

Un percorso iniziale nella sua generosa regione ed in tanti importanti ristoranti: qual è stata per lei l’esperienza più significativa che l’ha guidata verso quella che - oggi - è la sua linea gastronomica?
Sicuramente mi ritengo molto fortunato per i miei luoghi nativi, un cuoco non potrebbe chiedere di più. L’esperienza più significativa che mi ha fatto capire tantissime cose, è stata l’esperienza con Mario Zini nel suo ristorante La Scala di Amburgo (Germania). Con il suo aiuto sono cresciuto tantissimo, dalla ricerca della materia prima a cotture veloci e precise.
Durante i suoi lunghi soggiorni all’estero, cosa le mancava maggiormente in cucina?
Sicuramente nel periodo in cui sono stato in Germani dal 1994 al 2008, mi mancavano da morire le mozzarelle! Per me i latticini vanno consumati nel giro di 24 ore e questo non era possibile vista la distanza.

Ora la sua cucina narra molto di lei e della sua amata terra natia; ha mai avuto difficolta nel reperire i prodotti che lei desidera per esprimere al meglio il suo concept?
Beh sicuramente in Germania negli anni in cui ci ho vissuto io, si faceva fatica a trovare degli ottimi limoni, dei pomodori cuore di bue, anche solo il basilico e quando parlo di basilico si capisce che parlo di quello mediterraneo, a foglia larga e carnosa che se per caso lo strofinavi nelle mani, avevi il profumo per un giorno intero attaccato sulla pelle… Che buono!

Monia è la sua compagna d’avventura, colei che in sala - con garbo e competenza - rende la sosta un’experience nell’accezione più ampia del termine. È stato facile – sin da subito – trovare tale sintonia?
Monia ad oggi è cresciuta moltissimo, anche se è partita avvantaggiata. Nel senso che ha sempre lavorato nel modo dell’abbigliamento e questo per una persona che ha a che fare con il pubblico è importantissimo, infatti con gli ospiti è una bomba. Poi si è messa in discussione e si è lasciata indicare volentieri, la strada per superare le difficoltà che ci sono nella gastronomia. Ad oggi è un tassello imprescindibile

Ultimo arrivato, un fornito carrello dei formaggi! Prodotti golosi, ma un po’ distanti dalla moda salutista di questi ultimi anni, sebbene la richiesta sembra non registri inflessioni. Ci vuole dire chi è il “cliente tipo” che mai rinuncerebbe a queste prelibatezze?
Adoro il carrello dei formaggi e adoro anche il cioccolato, quindi non abbiamo un ultimo arrivato, ma abbiamo “partorito due gemelli”, cioè due carrelli simili. Stessa struttura e stesso materiale e visto le mie passioni, uno dedicato al cioccolato e uno ai formaggi. E mi creda sono molto gettonati entrambi: le posso dire con tutta tranquillità, che il 65% dei nostri ospiti mangia volentieri, anche solo uno spicchio di formaggio prima del dolce.

Il lockdown, il Covid e le difficoltà della primavera-estate 2020: in che modo hanno inciso sulla vostra offerta bergamasca? È cambiato qualcosa o siete riusciti a rimanere gli stessi di prima?
Alla riapertura del nostro ristorante, abbiamo mantenuto gli standard sia di qualità che di spazi. Abbiamo la fortuna di avere ampie metrature ed anche in precedenza il distanziamento tra i tavoli era notevole. Riguardo la proposta enogastronomica, anche qui non abbiamo apportato modifiche: manteniamo la nostra modalità di lavoro perseguiamo nel tenere alta la voglia di far bene. L’unica cosa che il COVID ha modificato in me e nel mio rapportarmi con le persone (avendo cucinato in beneficenza per i ragazzi della Croce Rossa, dal primo giorno di Lockdown fino al 20 maggio) è la consapevolezza di quanto la serenità e volontà di aiutare il prossimo siano importanti. Migliorano te e chi ti sta vicino!


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