Originari nel nord della regione di confine, ma ampiamente diffusi nelle aree pianeggianti, il contenitore dei cjarsons è composto da farina, acqua e un filo d’olio ad accomodare ampie possibilità di contrasti e sapori. Il che ha favorito la transizione da umile pietanza - presumibilmente ideate per assicurare ai commensali un solido apporto di energie e calore nel grande freddo montano - a prelibatezza gourmet nel più recente capitolo di una storia gastronomica secolare.
A sua volta raccontata dalla moltitudine di farciture originariamente legate agli ingredienti di montagna; oltre che frutta secca, marmellate, spezie.
In forma tradizionale o adeguati al contemporaneo secondo creatività, i cjarsons continuano ad essere protagonisti sottotraccia in ambito domestico come nei sapori tipici dei Bib Gourmand MICHELIN di Cavazzo Carnico e Sauris.
Depositari, come accade nelle cucine di molte famiglie della Carnia, di antiche procedure per la buona riuscita del prodotto. Che inizia dalla sfoglia - deve risultare morbida e ben idratata - tirata con mattarello dalla quale verranno poi estrapolati i dischi di pasta. La classica forma a mezza luna è dovuta a chiusura e piegatura stile “cappello di Napoleone”. Gesto a sigillare la pletora di possibili sfumature gustative e consistenze al loro interno, che ben si presta ad accogliere verdure, formaggi, erbe aromatiche; ma anche cioccolata, marmellate e biscotti.
Duttili, gustosi e dalla consistenza sui generis tra le paste ripiene italiane, i cjarsons sono morsi di puro conforto inscindibili da sussistenza e territorio. Sia in termini di apporto calorico che di funzionalità all’economie casalinghe nel recuperare eventuali avanzi. Concetto alla base della complessa, e raffinata, ricetta di Sutrio in cui l’invenzione originaria della Carnia avvolge palato e papille con colpi da oltre venti ingredienti: strutto, prezzemolo, susine secche con burro fuso e fiocchi di ricotta stagionata a condire.