Ristoranti 3 minuti 23 aprile 2024

Altatto: la percezione dell'uovo in materia

Cucina vegetale in limited edition a Milano per un'indagine totale sulla Valtellina, sia negli ingredienti che nella mise en place.

La cucina vegetale sta diventando un'onda verde che influenza in modo sempre più intenso le tavole internazionali, sia per il benessere dell'uomo che del pianeta. Basti pensare allo chef Daniel Humm, che ha conquistato le tre stelle MICHELIN all'Eleven Madison Park di New York con la sua cucina elegante, curata e 100% vegan.

Anche Milano sta cercando la sua strada "green" con realtà che hanno fatto del trend del vegetale non una moda, ma una costante di vita e di lavoro. Vi abbiamo già raccontato di Horto, il progetto sostenibile di Norbert Niederkofler all'interno di Palazzo Broggi, a pochi passi dal Duomo e dalla Galleria Vittorio Emanuele, e oggi vogliamo parlarvi di Altatto. Fin dall'apertura, 4 anni fa, questo ristorante dall'atmosfera contemporanea propone un percorso gastronomico che nasce dal rispetto per la terra, per il lavoro artigianale e manuale, per le stagioni e per i prodotti del territorio.

Le chef Cinzia De Lauri e Sara Nicolosi vengono da una lunga esperienza con Pietro Leemann, chef che ha fatto scuola, visto che il suo Joia è stato il primo ristorante in Europa a conquistare la stella MICHELIN con una cucina solo a base vegetale. Oggi Leemann ha cambiato vita e si trasferirà a Raxa, comunità spirituale in costruzione nella zona di Centovalli, in Svizzera, ma, grazie ai suoi allievi, i suoi insegnamenti dureranno per sempre.

Altatto - Interno
Altatto - Interno

Altatto prende vita in un’ex panetteria, che è stata trasformata in un piccolo locale con proposte di cucina vegetariana e vegana in due menu degustazione che cambiano mensilmente. Ogni tanto, le chef si "innamorano" di un territorio specifico e decidono di portarlo in tavola dal loro punto di vista. Come è stato nel caso del menu Val, che è il frutto di un anno di lavoro tra boschi, artigiani locali e montagne. Il menu non ha solo una parte gustativa, ma anche "tattile" - come vuole il nome del ristorante - grazie alla mise en place ideata e realizzata dalla designer milanese Maddalena Selvini. Piatti, bicchieri, ciotole e cucchiai sono stati realizzati a mano dagli artigiani valtellinesi in pietra ollare, in modo che la matericità del contenitore potesse valorizzare al meglio l'essenza di ogni ingrediente.

Un esempio è il portauovo Stonegg, che vuole ricreare la sensazione antica di raccogliere con le mani l'uovo caldo, appena deposto, in un pollaio. L'ospite tiene in mano il contenitore di pietra, sentendone il calore, e, all'interno, troverà un uovo di selva cotto a vapore con un goccio di latte fresco - dalla consistenza di una panna cotta - arricchito da una riduzione di mele e da sfere di "caviale di aceto" per un contrasto di acidità. Il contenitore resta lo stesso, dalla cucina al tavolo, perché l'uovo viene cotto in esso, come se fosse il suo "guscio".

L'uovo non è stato scelto a caso: è simbolo antico, ingrediente primigenio. La sua tripartizione - guscio, albume, tuorlo - richiama la sacralità del numero tre, che si trova in ogni religione (basti pensare alla Trimurti indiana o alla Trinità cristiana). L’uovo viene collegato anche alla fecondità e al concepimento: già nelle feste pagane di primavera simboleggiava la fertilità.

Uova, mele e pestada
Uova, mele e pestada
Uovo, mele e pestada con pane sfogliato
Uovo, mele e pestada con pane sfogliato

Richiami antichi, come quello che torna sul primo piatto del menu Val: il Tarè.

"Questo percorso gastronomico viene da un lavoro di oltre un anno in Valtellina, a stretto contatto con i piccoli produttori locali e gli artigiani - spiegano le chef Cinzia De Lauri e Sara Nicolosi -. Abbiamo dormito nei rifugi, ci siamo svegliate all'alba per raccogliere nel bosco le uova di selva, abbiamo esplorato le cave di pietra ollare e siamo state a fianco dei tornitori mentre lavoravano a quelli che sarebbero diventati i nostri piatti e i nostri bicchieri. In questi mesi, abbiamo scoperto che i valtellinesi hanno termini specifici per i vari momenti della natura e "tarè" è il modo per indicare il terreno quando la neve si scioglie. Un terreno che esce dal lungo riposo invernale, poco fecondo, ma che conserva elementi preziosi come rametti, radici, qualche elemento vegetale verde. Questa "sensazione di risveglio" diventa il nostro piatto, che viene servito, come una volta si faceva a casa in montagna, direttamente da una grande ciotola in pietra con un cucchiaio di legno, sempre disegnati da Maddalena Salvini".

Il Tarè, si compone in due servizi. Al tavolo arriva prima un piatto piano con il "terreno" rappresentato da polvere di salvia, aglio cotto alla brace, glassa di mele selvatiche, riduzione di aceto e foglie di cavoletti di bruxelles, che verrà ricoperto da una generosa coltre di "neve" - in questo caso calda - a base di orzotto mantecato con burro e Parmigiano. "Questo orzo viene coltivato a 900 metri da una famiglia che ha riportato in vita semenze rare e dimenticate. Le "imprecisioni" di colore, sono dovute alle varietà di chicchi, con l'orzo che si mischia al grano saraceno e ad altre varietà autoctone". Magnifica imprecisione della natura, che cerca la biodiversità e non l'algida perfezione senz'anima.

Tarè, orzotto con cereali d'alta quota, abete bianco e miele
Tarè, orzotto con cereali d'alta quota, abete bianco e miele

Ricorda la neve anche il dolce - Glàsc Làc -, una montagna di gelato allo yogurt che può essere guarnito, al momento, con noci, miele millefiori di montagna, marmellata di mirtilli o propoli.

Un'esperienza in limited edition - per seguire i tempi e gli ingredienti della natura - che dimostra come l'alta cucina vegetariana, quando si unisce all'indagine di un territorio specifico, può diventare ancora più interessante.

Gelato allo yogurt
Gelato allo yogurt

Altatto Bistrot

€€ · Vegetariana, Contemporanea
via Comune Antico 15, Milano

In copertina: Cinzia De Lauri e Sara Nicolosi_chef Altatto



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