Dal 2016 executive chef del ristorante Glam Enrico Bartolini a Venezia, ci piacerebbe farti conoscere un po’ di più dai nostri lettori. Vuoi parlarci delle tue origini? Dove sei nato e cresciuto?
Sono nato ad Alatri, un paesino vicino Fiuggi. Sono rimasto lì fino a 19 anni quando, dopo aver frequentato l’istituto alberghiero, sono approdato a Verona.
Il tuo inizio nella ristorazione è stato “quasi” spontaneo avendo parenti nel settore?
Diciamo che ogni italiano ha parenti nel settore. Tutti noi abbiamo una mamma o una nonna che cucinavano per noi… Detto ciò, io ho avuto la fortuna di avere come esempio mio padre, una persona che mi ha trasmesso l’etica del lavoro: qualità rara e in estinzione ultimamente.
Da una cucina del territorio laziale a quella più tecnica dei tempi recenti. Cosa ti ha spinto o chi ti ha stimolato a perseguire ricerca e tecnica?
Le varie esperienze e i vari contatti umani con gli chef di cui sono stato commis, capo partita, collega, mi hanno sicuramente indirizzato e spinto al mio modo attuale di vedere la cucina. Sono rimasto affascinato nel vedere queste persone fare il loro lavoro in modo pazzesco.
Da qualche tempo a Venezia, nei tuoi piatti vi è molto territorio locale (verdure, pesce, ecc.) e ci dicono che sei un abitudinario nel fare la spesa al mercato di Rialto. Cosa ti ha conquistato e perché?
La laguna veneta ha delle risorse artigianali che difficilmente riscontriamo in altre zone d’Italia. Il mercato di Rialto è fatto di persone come me che amano i grandi ingredienti e le materie prime.
Nelle varie stagioni, vi è una verdura locale che non trovi in altri posti e che ha colpito il tuo interesse?
Le castaure e le erbe aromatiche della laguna, con la loro sapidità, mi hanno conquistato.
Vi sono altri prodotti locali che stai ancora studiando per proporli nei prossimi menu?
La ricerca sui prodotti veneziani non è mai finita. Anzi, mi correggo, la ricerca sui prodotti non ha mai fine. Le sensazioni che si provano nel testare un prodotto che non si conosceva prima sono uniche.
Spesso le tue influenze laziali si vedono anche nei tuoi piatti. Cosa non rinunceresti mai a riproporre?
Per me è fondamentale estrarre sapidità dagli ingredienti. Non riuscirei a fare a meno di questo passaggio.
Una squadra vincente in sala: per te, quanto valore ha il lavoro da essa svolto nel valorizzare i tuoi piatti? Vuoi ringraziare qualcuno in particolare?
Il ristorante è fatto di sala, cucina, cantina. Se uno di questi elementi è fuori posto non è un grande ristorante. Al di là di questo, il ristorante non è fatto solo di luoghi, ma soprattutto di persone. Sono un po' all’antica, mi piace pensare che la gente venga a trovarci non solo per il luogo, ma soprattutto perché ci siamo noi ad accoglierli. Giorgio Munafò, Luciano Palmieri, Maria Menatta, Minou Kadigha. Sono loro che devono essere bravi a trasmettere tutta la passione, l’impegno, la dedizione che noi ragazzi di cucina mettiamo nel nostro lavoro.
Una domanda, probabilmente, abbastanza frequente. Com’è lavorare con Bartolini? Nel proporre i piatti in menu, quanta libertà di espressione ti viene concessa?
Lo chef Bartolini mi ha concesso totale autonomia. Questo mi permette di esprimermi al meglio.
E ora qualcosa di più personale. Sembra che stai dedicando tutte le tue energie nel lavoro e di tempo libero ne hai veramente poco. Cosa fai per rigenerare le tue energie? Hai qualche hobby particolare o ti dedichi al riposo assoluto?
Sembra strano, ma il luogo dove io mi riposo e mi rilasso è la cucina stessa. Attimi di solitudine in cui ci si ritrova a sbianchire un brodo, pulire un carré d’agnello, creare una nuova ricetta…
Da qui a 10 anni dove ti vedi?
Sicuramente in cucina a perseguire il mio motto: ”Per fare grandi cose, bisogna porre attenzione alle piccole”. Soltanto facendo attenzione ai dettagli - una postazione di lavoro pulita, l’utilizzo di un’erba al posto di un’altra, estrarre un sapore da una verdura, rispettare una carne e un pesce lavorandoli subito - si può sperare di soddisfare le persone che ci vengono a trovare. Può esserci qualcosa di più emozionante?
… A voi l’ardua sentenza!
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