Molto diversi, eppure in un certo senso anche simili, tanto da darci ispirazione per un'intervista in parallelo sullo sfondo di un Pianeta da amare e salvaguardare. Valentini è il pioniere, un’azienda mito che è un monumento al meglio del Made in Italy in senso ampio; Valle Reale ha una storia più recente da raccontare. Si tratta – infatti - di una giovane azienda brillante, che è riuscita ad affermarsi con determinazione. Valentini è espressione di collina, Valle Reale è praticamente in montagna, dentro al Parco Nazionale della Majella. Anche nell'approccio “verde”, volendo sintetizzare, mostrano alcune peculiarità distintive: Valentini lavora orgogliosamente con gran pulizia, mentre Valle Reale ha scelto la via del biodinamico. Sin qui le due realtà enoiche sembrerebbero totalmente diverse tra loro, eppure in realtà, a guardare meglio ed a guardare nella giusta direzione, oltre al rispetto reciproco e all'amicizia che li unisce, questi gloriosi vignaioli condividono un aspetto profondo.
E non è tanto il fatto che entrambi producano in provincia di Pescara, così come lo è solo in parte il fatto di essere tra i migliori interpreti che vi siano nel lavorare gli stessi vitigni, appunto, il trebbiano d’Abruzzo ed il Montepulciano d'Abruzzo, ne danno infatti versioni necessariamente legate a tipologie di territori diversi, ad un passato radicalmente diverso. Il vero punto d’incontro, infatti, nonostante un coinvolgimento differente sul tema, come si diceva in apertura, per queste due realtà è l’abbraccio inscindibile che entrambe concedono alla sostenibilità ambientale come unica via per fare le cose per bene.
In parallelo li coinvolgiamo con alcune domande proprio per mettere a fuoco questo abbraccio fondamentale alla terra: a rispondere saranno rispettivamente Francesco Paolo Valentini, attuale titolare (insieme al figlio Gabriele) dell’omonima azienda, e Leonardo Pizzolo, titolare e anima pulsante di Valle Reale.
L'Abruzzo è nell'immaginario collettivo una terra generosa, prendendo a prestito una bella immagine di Flaiano, sembra un'isola schiacciata tra terra e mare, dove la natura detta il suo tempo più che in altre regioni: sentite questa responsabilità nel vostro approccio alla vigna?
FPV – L’Abruzzo è terra generosa, si, ed è tra le regioni più verdi d’Europa, per cui sì: sentiamo la responsabilità. Infatti, abbiamo sempre cercato di fare vini (ed anche olio) che siano compatibili col territorio stesso, nel rispetto di ciò utilizziamo solo e soltanto cultivar autoctone, fondamentalmente quindi trebbiano d’Abruzzo e Montepulciano d’Abruzzo. Di trebbiano - in realtà - ce ne sono tantissimi e non solo in Italia, anche in Grecia, Spagna, Francia, per noi è importante la coltivazione di quello d’Abruzzo. La storia del Montepulciano è più complessa, parecchie sono le discussioni sulle sue origini toscane, in realtà però morfologicamente io parlo di un prodotto autoctono abruzzese che probabilmente arrivò in regione già nel 1500, proprio dalla Toscana, con una storia che si fa quasi romanzo, nei secoli attraverso incroci e contaminazioni, casuali e voluti, è divenuto l’autoctono Montepulciano d’Abruzzo. Possiamo a ragione sostenere che sia sempre stato coltivato qui. Per rispettare il territorio io parto proprio da qui, dai cultivar indigeni.
LP - Sentiamo molto la responsabilità di tutelare questo territorio attraverso la sua valorizzazione. A maggior ragione poiché il nostro vigneto di Popoli si trova all’interno di un’area protetta del Parco e di fronte ad una Riserva integrale per il ripopolamento della fauna del Parco della Majella.
Andando al nocciolo della questione, tra le pratiche e scelte che fate sia sul breve sia sul lungo periodo, c’è un'azione più importate delle altre che applicate per la salvaguardia dell'ambiente?
FPV – Vorrei premettere, senza che ciò possa sembrare una forma di pregiudizio perché non lo è, che non aderiscono a catalogazioni. Ho grande rispetto per chi fa una scelta, ad esempio, di tipo biologico o biodinamico oppure di altro tipo, però non mi sono mai voluto identificare in nessuna categoria. Ciò che mi interessa è il rispetto per l’ambiente che, infatti, fa parte del mio modo di lavorare da sempre, un modo che definisco tradizionale ed artigianale. In vigna ho sempre scelto interventi naturali a base di rame e zolfo e non ho mai voluto usare, se non in situazione realmente drammatiche, prodotti di sintesi o che non fossero del tutto naturali. Diciamo che queste sono scelte legate non solo al mio amore per l’ambiente ma anche in coerenza al tipo di vinificazione che facciamo: lavorando in maniera artigianale devo evitare l’uso di prodotti che mi possono creare problemi e ripercussioni in vinificazione, essendo questa svolta con i lieviti autoctoni e senza controlli di temperature e filtrazioni. Inoltre, anche nelle lavorazioni in vigna utilizziamo materiali organici, sia per le viti che per gli ulivi, con concimi bovini ed equini essiccati, sovesci con favino (legume) per l’apporto di azoto nel terreno, alternati saltuariamente con alcuni elementi minerali qualora servissero, sempre con l’obiettivo del rispetto del terroir. Inoltre, non abbiamo mai usato diserbante. Non sono mai stato una persona estrema, cerco di affidarmi al buon senso anche perché il clima non è più quello di cinquant’anni fa e presenta problematiche che una volta non c’erano. Bisogna ricordarsi che la terra è un organismo vivente da non danneggiare.
LP - In questa zona è vietata qualsiasi forma di attività inquinante per l’ambiente circostante per cui le pratiche per la sua salvaguardia sono obbligatorie per chiunque voglia cimentarsi a produrre qualcosa. È stato naturale, prima di tutto, scegliere soltanto varietà autoctone locali, geneticamente adattate a questa situazione. In particolare, esiste un clone del Montepulciano originario proprio della Valle Peligna che presenta un grappolo più piccolo e spargolo, il quale matura più facilmente in questa zona fredda. Era scomparso negli anni Settanta perché poco produttivo e si trovava solo in qualche orto o in qualche vecchio vigneto di montagna, adesso è tornato disponibile a tutti. Lavorando poi con le fermentazioni spontanee, per noi è estremamente importante la salubrità del contesto in cui le vigne crescono, la qualità dei suoli stessi. Anche la resistenza delle piante agli eventi atmosferici avversi, che invece si sono moltiplicati, è migliorata molto. Al di là delle certificazioni (l’azienda comunque è interamente certificata Demeter), occorre maturare una grandissima sensibilità per poter contenere al minimo i trattamenti che inevitabilmente impattano sull’ambiente. Si tratta in sostanza di una serie di scelte sensibili che poggiano su una profonda conoscenza delle proprie parcelle e che può maturare solo con l’esperienza di un certo numero di vendemmie sulle spalle.
… In effetti avete entrambi appena toccato un punto fondamentale: come cambia il lavoro del vignaiolo alla luce dei cambiamenti climatici?
FPV – Cambia, cambia! E bisogna adeguarsi. Tra l’altro chi lavora in maniera tradizionale ha più difficoltà di chi si affida alla tecnologia. Con un clima che tende ad essere subtropicale è naturale che aumenti la possibilità che ci siano patologie in vigna, che compaiano anche patologie inedite, che prima non c’erano da noi. Sono addirittura comparsi insetti una volta sconosciuti dalle nostre parti, come la Suzuki dell’Oriente che ha trovato nel nostro clima cambiato un ambiente favorevole, quest’insetto attaccata la frutta ed in particolar modo l’uva nera nel momento di maggior maturazione, quando diventa difficilissimo intervenire, bisogna allora anticipare ed ingegnarsi, ad esempio inspessendo la buccia dell’acino perché è nelle sue rotture che si infila l’insetto; in generale, il rischio è di avere annate in cui si debbono fare tanti trattamenti di contatto, seppure con prodotti naturali. Anche in cantina ci sono ripercussioni in realtà, perché si deve tener conto del fatto che l’uva ha un “condizionamento”, oggi si vendemmia prima rispetto anche solo a cinquant’anni fa. Un tempo le maturazioni zuccherina e fenolica andavano in parallelo ed era quindi più facile cogliere il loro “attimo fuggente”, ovvero l’ottimo per entrambe; oggi quest’attimo dura sempre meno ed alle volte non c’è neppure. Mediamente per quanto riguarda le mie uve rosse su 10 annate produco vino 4, massimo 5 volte e non di più, proprio perché non riesco ad ottenere sempre le 2 maturazioni adeguate al lungo invecchiamento che io ricerco.
LP - In pratica stiamo cercando di adattarci a cambiamenti… già in atto! Cambiano prima di tutto le operazioni in vigna. Questa non è una zona calda, ma - per via della quota e della latitudine - è estremamente esposta ai raggi UV che spesso compromettono la qualità delle bucce con scottature irrimediabili. Per evitare possibili danni si necessita di una corretta defogliazione. Questo vale soprattutto per un impianto a spalliera, molto diffuso soprattutto nell’Abruzzo pedemontano e montano. Tuttavia, la violenza dei raggi UV negli ultimi anni è aumentata in diverse ore del giorno. Così i nuovi vigneti di Popoli non sono più a spalliera ma a pergola abruzzese: sistema di allevamento, per tanto tempo denigrato dai luoghi comuni della qualità di scuola soprattutto bordolese, che ritorna ad essere uno dei migliori in questa zona proprio a causa del cambiamento climatico, perché permette lo sviluppo della chioma orizzontalmente e mantiene i grappoli all’ombra per tutto il giorno ed evita le scottature. Inoltre, poiché l’inverno non è più freddo come una volta, abbiamo il problema di fenomeni atmosferici potenziati, come bombe d’acqua, forti grandinate e, soprattutto, gelate più frequenti. I giorni davvero freddi sono sempre meno e così la primavera parte in anticipo aumentando il rischio gelate. Qui ci difendiamo soprattutto ritardando la potatura invernale fino a marzo (un tempo si potava prima di Natale!). Questo ci permette di affrontare le gelate con le gemme ancora protette, limitando il danno. Chiaramente ci si espone ad un rischio maggiore nella maturazione, infatti se l’estate poi diventa fredda si rischia di non poter recuperare il ritardo dello sviluppo vegetativo e della maturazione. Fortunatamente anche l’autunno sta diventando piuttosto caldo con maggiore frequenza. Quindi i cambiamenti climatici inducono a traslare le operazioni di campagna costringendoci ad organizzare nuovi calendari.
Le vostre produzioni a base di Montepulciano d'Abruzzo e trebbiano d’Abruzzo puntano dritto verso la qualità: merito del terroir particolarmente vocato, delle pratiche agricole oppure delle scelte in cantina? Oppure, al di là di ogni altra questione, è semplicemente agendo nel rispetto della natura che il risultato viene da sé?
FPV – Beh, nella domanda in effetti c’è già la risposta. In primis c’è per forza di cose il territorio. A maggior ragione se la lavorazione è, come nel mio caso, artigianale, e deve essere un territorio altamente vocato alla vigna, così come lo è l’Abruzzo e così come è molta parte dell’Italia: paese in grado di regalare tanta biodiversità in uno spazio relativamente ridotto. Alcune scelte sono basilari: non bisognerebbe coltivare in zone non vocate, tipo i fondovalle, meglio ricercare esposizioni ottimali in collina. Detto questo, certo, contano anche le corrette pratiche agronomiche ed anche le forme di allevamento della vigna adeguate, come per noi la pergola abruzzese, perché ogni zona ed ogni vitigno devono avere la loro scelta ottimale affinché si riesca ad ottenere la giusta, lenta maturazione dei grappoli. Alla fine, quel che conta di più è mettere la vite nelle condizioni migliori.
LP - A mio parere si parte dalla ricerca della materia prima migliore che si possa ottenere in quella precisa parcella. Bisogna capire la vocazione e la compatibilità di quel luogo rispetto prima di tutto alla varietà di uva e, in un secondo momento, rispetto al vino che si ha in mente. Una volta risolto questo aspetto, le pratiche agricole devono essere volte ad accompagnare una progressiva ed equilibrata maturazione cercando di intervenire il meno possibile. Questi due aspetti coprono gran parte del risultato qualitativo che si riesce ad ottenere. La cantina ha sicuramente il compito di far nascere il vino che, però, è prima di tutto figlio dell’annata e delle scelte agricole fatte sul campo fino a quel momento. La nostra filosofia è quella di non forzare mai le fermentazioni, le estrazioni, le macerazioni, i tempi fisiologici di quell’uva, ma cercare sempre un equilibrio ascoltando, osservando ed assecondando gli eventi. Non sempre questo modo di lavorare produce un vino che piace al mercato che vorrebbe sempre una qualità crescente o costante. L’unico modo per mantenere costante la qualità è quello di saltare le annate non all’altezza dell’etichetta che portano. Bisogna altrimenti accettare che ci siano grandi annate e piccole annate e che un vino artigianale non può per definizione avere una qualità costante.
Dopo tanta “filosofia”, proviamo a tornare sul fronte più amato dagli appassionati, quello empirico, dell’assaggio: all’interno della vostra produzione, quali sono il vino e/o le annate del cuore? Con cosa lo abbinate per goderne al meglio?
FPV – La mia annata del cuore è sempre l’annata più difficile. Non ragiono in termini di assaggio, ma come viticultore: le annate che mi mettono di più alla prova sono quelle pessime in cui diviene un’impresa di tenacia ed arguzia ottenere a fatica vini discreti. Alla fine è una gran soddisfazione; ovviamente è assai più facile ottenere grandi vini da ottime annate. Per esempio, l’annata 1999 ricade proprio in questa categoria: fu molto difficile in quanto molto piovosa. Dal punto di vista del bicchiere, dell’assaggio, sono tante le annate che mi hanno dato e mi danno ancora soddisfazione, come la 2010, poi 2012, 2008, 1987, 1977, ce ne sono davvero tante per fortuna. Pensando ai miei vini non considero necessario un abbinamento alla cucina del territorio, mi pare più evidente che l’abbinamento debba essere… corretto, io sono molto tradizionalista e preferisco i vini bianchi con la cucina di pesce e quelli rossi per quella di carne. Poiché anche il vino è un alimento, ciò che a me piace accostandolo ad un piatto è che si cerchi e trovi un punto di incontro, e che possibilmente ciò avvenga proprio a tavola: il luogo migliore per ogni assaggio.
LP - Montepulciano Sant’Eusanio. Non è il vino più popolare della mia produzione, però, questo Montepulciano incarna, più di ogni altro, le caratteristiche di questo territorio. Si tratta della parcella più in quota di tutta la mia proprietà ed anche quella che nel pomeriggio entra per prima in ombra. Riparata dal maestrale e, quindi, immune alle gelate, in questo piccolo ettaro di vigna il Montepulciano si vinifica in rosso solamente nelle annate con la perfetta maturità fenolica che un tempo erano rare ma adesso, come si diceva poc’anzi, diventano più frequenti creando i presupposti per un rosso vivace, fine ed elegante, con bassa gradazione alcolica, dotato di equilibrio, finezza, persistenza e longevità, che non è così comune a queste latitudini. Invece, mi piace sempre collegare i vini al territorio che li genera. In questi vent’anni di militanza in Abruzzo (da veneto trapiantato!) ho imparato ad amare la cucina abruzzese che proprio in queste zone si esprime con una cucina di transumanza. Una cucina “per uomini veri“, diceva un mio caro amico. Le alte acidità e la freschezza dei miei vini, anche bevuti giovani, specialmente se serviti alla temperatura giusta, si abbinano perfettamente a tutto il mondo della cucina agro-pastorale. Pecora nelle diverse declinazioni, salumi di fegato e formaggi stagionati. Se invece penso ai miei vini più eleganti e sottili adoro i primi in brodo nelle giornate invernali.